sabato 28 maggio 2011

Quattro Amici

AUTORE: David Trueba
GENERE: Romanzo di formazione

TRAMA:

Moderni moschettieri su uno scassato furgoncino, quattro amici in crisi da maturità si lanciano in un improbabile viaggio per strappare un po' di tempo all'esistenza e riaffermare la propria voglia di ribellione e divertimento. Solo, ventisettenne oppresso da genitori troppo perfetti e dal ricordo di una ex che sta per convolare a nozze; Blass, grasso e goffo, alla frustata ricerca di un amore; Claudio, tombeur de femmes che vive solo per l'amicizia, Raul, precipitato dalle fantasie sadomaso a un tranquillo menage familiare con due gemelli a carico. Su un furgoncino di seconda mano che olezza di formaggio, i quattro decidono di concedersi un agosto da leoni, illusorio risarcimento dalla quotidianeità. Da Madrid a Valencia, da Saragozza ancora a Madrid, attraverso una scia di risse, ubriacature, cuori infranti e amplessi frettolosi, rinsalderanno la propria amicizia in una tardiva fine dell'adolescenza. Un caleidoscopio di avventure, un romanzo acido e melanconico che ha il ritmo del miglior cinema.

INCIPIT:
Ho sempre avuto il sospetto che l'amicizia venga sopravvalutata. Come gli studi universitari, a morte o avere il cazzo lungo. Noi esseri umani esaltiamo i luoghi comuni per sfuggire alla scarsa originalità della nostra vita. Ecco perchè l'amicizia viene rappresentata con patti di sangue, lealtà eterne, e addirittura mitizzata come una variante dell'amore, più profonda del banale affetto di coppia. Eppure non dev'essere un vincolo tanto solido, se l'elenco degli amici perduti è sempre più lungo di quelli conservati. Il padre di Blas ci ripeteva sempre che la fiducia negli altri è un segno di debolezza, ma per lui ogni barlume di umanità era roba da checche. Colonello della riserva con simpatie naziste universalmente note, non attribuivamo grande valore alle sue opinioni. In fondo era più saggio quello che un tizio, finito lungo disteso sul pavimento di un'osteria, un giorno ci aveva gridato: "Io agli amici non racconto le mie pene; chi vuole divertirsi, vada a fottersi sua mdre". L'amicizia mi è sempre parsa un cerino che è meglio spegnere prima di bruciarsi le dita, eppure quell'estate non avrei potuto concepire le giornate senza Blas, senza Claudio, senza Raul. I miei amici.
Claudio lo aspettavamo da più di un'ora da El Mano, e anche se all'inizio avevamo optato per la prudenza (una Coca-Cola e due minerali), poco dopo sul tavolo si allineavano i boccali di birra vuoti e avevamo ingurgitato cpsì tante ali di pollo che da un momento all'altro avremmo potuto spiccare il volo. Un giorno abbiamo fatto il conto e siamo arrivati alla conclusione che passavamo più tempo ad aspettare Claudio che insieme a lui. Aspettare Claudio era una parte fondamentale della relazione con Claudio. Aspettarlo era il nostro modo abituale di stare con lui.
“Io non arrivo mai tardi, perchè il tempo che le persona passano ad aspettarti lo impiegano per pensare a te, e stai tranquillo che ti scoprono qualunque difetto. E magari quando arrivi hanno preferito andarsene.” Raùl, tanto insicuro quanto puntuale, era quello che s’incazzava di più per quei ritardi.
Alto, capelli bruni un po’ radi sulle tempie - un difetto che occultava grazie allo studiato disordine della chioma -, occhi scurti come l’ardesia acquattati dietro gli occhiali di rsina nera, inforcati più volte con gesti nervosi. Arricciò il naso dall’alto del suo quasi metro e novanta di ossa sottili e scomposte, che parevano reggersi con la solidità di una torre fatta di stuzzicadenti. Diede un calcio allo smisurato borsone da viaggio, che occupava uno spazio cinque o sei volte maggiore del mio e di quello di Blas messi insieme.




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