lunedì 2 maggio 2011

L'atlante di Smeraldo

AUTOREJohn Stephens
GENERE: Romanzo d'avventura
TRAMA:
Kate, Michael ed Emma sono passati da un orfanotrofi o all’altro negli ultimi dieci anni, portandosi dietro pochi bagagli, ma molto pesanti: il ricordo, custodito dalla più grande Kate, di aver avuto un tempo due genitori che li accudivano e che un giorno torneranno a prenderli.
Una forza oscura, ma benigna, li ha strappati ancora in fasce dalla famiglia e da un pericolo di proporzioni devastanti, di cui però nessuno di coloro che ora accudiscono i tre bambini sembra avere nozione. Fino ad ora. Il loro viaggio inizia proprio dove sembrava finire e percorre luoghi selvaggi, angoli bui e inesplorati del mondo e del tempo. Un mondo che nessuno ha mai conosciuto e che Kate, Michael ed Emma dovranno attraversare per preservare loro stessi, ritrovare la propria famiglia e, forse, salvare il mondo intero.

INCIPIT:
La bambina fu scossa dal sonno. Sua madre era china sopra di lei.
«Kate.» La voce era sommessa e pressante. «Ascoltami bene. Bisogna che tu faccia una cosa per me.
Bisogna che tu protegga tuo fratello e tua sorella. Hai capito? Devi proteggere Michael ed Emma.»
«Cosa...» «Non c’è tempo per spiegare. Promettimi che li proteggerai.» «Ma...» «Oh, Kate, per favore! Promettilo e basta!» «Lo... lo prometto.»
Era la vigilia di Natale. Aveva nevicato tutto il giorno. Kate, la più grande, aveva avuto il permesso di andare a letto più tardi del fratello e della sorella. Così, quando i canti di Natale si erano ormai spenti da un pezzo, era rimasta con i genitori a sorseggiare cioccolata calda accanto al fuoco mentre mamma e papà si erano scambiati i regali – i bambini avrebbero ricevuto i loro l’indomani mattina – e a sentirsi molto grande per i suoi quattro anni. La mamma aveva regalato a papà un vecchio libro sciupato, piccolo ma molto spesso, del qua- le era sembrato molto contento, mentre lui le aveva regalato una catenella d’oro con un medaglione. Dentro il medaglione c’era una minuscola fotografia dei bambini – Kate, Michael, di due anni, e la piccola Emma. Poi, quando alla fine era andata a letto, Kate se n’era stata tutta felice al buio, al calduccio sotto le coperte, a chiedersi come avrebbe fatto ad addormentarsi, e un attimo dopo, o così le era sembrato, era stata svegliata.
La porta della camera era aperta e Kate, alla luce del corridoio,
1guardò la mamma sollevare le mani dietro la nuca per slacciare la catenella con il medaglione e poi chinarsi per fermargliela al collo, facendo scivolare le mani sotto di lei. La bambina si sentì sfiorare appena dai capelli della mamma e avvertì l’odore del pan di zenzero che aveva preparato quel pomeriggio; poi qualcosa di umido le arrivò sulla guancia e capì che la mamma piangeva.
«Ricorda che io e tuo padre ti vogliamo tanto bene. E che un giorno saremo di nuovo tutti insieme. Lo prometto.»
Alla bambina batteva forte il cuore. Fece per chiedere che cosa succedeva quando sulla porta comparve un uomo. La luce era alle sue spalle, così Kate non riuscì a vederlo in faccia, ma era alto e magro e portava un lungo cappotto e qualcosa che sembrava un cappello spiegazzato.
«È ora» disse. La sua voce e quell’immagine – l’alta sagoma di un uomo sulla porta – avrebbero perseguitato Kate per anni, perché quella fu l’ultima volta che vide sua madre, l’ultima volta che la sua famiglia fu unita. Poi l’uomo disse parole che Kate non distinse e fu come se attorno alla sua mente calasse una coltre pesante, cancellando l’uomo sulla porta, la luce, sua madre, tutto.
La donna prese in braccio la bambina addormentata, l’avvolse nelle coperte e seguì l’uomo giù per le scale, oltrepassò il soggiorno dove il focolare era ancora acceso e uscì nel freddo e nel buio.
La bambina, se fosse stata sveglia, avrebbe visto il padre in piedi sotto la neve accanto a una vecchia auto nera, con in braccio il fratello e la sorellina stretti nelle coperte e addormentati. L’uomo alto aprì la portiera nera e il padre dei bambini adagiò il carico sul sedile; poi si girò, prese Kate dalle braccia della donna e la coricò accanto al fratello e alla sorella. L’uomo alto richiuse la portiera con un colpetto delicato.
«Sicuro?» chiese la donna. «Sicuro che sia l’unico modo?» L’uomo alto si era spostato sotto il chiarore di un lampione e per la prima volta era nettamente visibile. A chi fosse passato di lì, il suo aspetto non avrebbe ispirato molta fiducia. Il cappotto era rattoppato e aveva i polsini logori, al vecchio completo di tweed mancava un bottone, la camicia bianca era macchiata di inchiostro e tabacco, la cravatta – la cosa più strana era forse questa – era annodata non una ma due volte, come se l’uomo, non ricordando se avesse già fatto il nodo, invece di guardar giù ne avesse fatto un altro per sicurezza. Da sotto il cappello spuntavano i capelli bianchi e le sopracciglia si ergevano dalla fronte come grandi corna innevate, arricciate sopra un paio di occhiali di tartaruga sbilenchi e rappezzati. Insomma, era come se si fosse vestito nel bel mezzo di un tornado e, pensando di essere ancora troppo presentabile, si fosse gettato giù per una rampa di scale.
Solo quando lo si guardava negli occhi tutto cambiava.
Nella notte ovattata dalla neve, non riflettevano luce, brillavano della propria; e l’energia, la gentilezza e la comprensione che trasmettevano erano tanto straordinarie da far dimenticare completamente le macchie di tabacco e di inchiostro sulla camicia, i rattoppi degli occhiali, il doppio nodo alla cravatta. Bastava guardarli per capire di essere di fronte alla saggezza più autentica.
«Miei cari amici, abbiamo sempre saputo che questo giorno sarebbe arrivato.»
«Ma cos’è cambiato?» chiese il padre dei bambini. «Dai tempi di Cambridge Falls non c’è più stato niente! E parliamo di cinque anni fa! Sarà pur successo qualcosa!»
Il vecchio sospirò. «Stasera sono stato da Devon McClay.» «Non sarà... non può essere...» «Purtroppo sì. E, anche se è impossibile sapere cos’abbia rivelato
loro prima di morire, dobbiamo supporre il peggio. Dobbiamo supporre che abbia raccontato tutto dei bambini.»
Per un lungo momento nessuno parlò. La donna aveva dato libero sfogo alle lacrime.
«Ho detto a Kate che un giorno saremmo stati di nuovo tutti insieme. Le ho mentito.» «Tesoro...» «Finché non li avrà trovati, non si fermerà! Non saranno mai al sicuro!» «Hai ragione» disse il vecchio, sottovoce. «Non si fermerà mai.»
Chi fosse la persona di cui parlavano, evidentemente era superfluo chiarirlo.
«Ma un sistema c’è. Quello di cui abbiamo sempre saputo. Bisogna fare in modo che i bambini crescano. Che il loro destino si compia...» Si interruppe.
L’uomo e la donna si girarono. In fondo all’isolato, tre sagome scure in piedi, in cappotto lungo, li guardavano. La via si fece più silenziosa che mai; perfino i fiocchi di neve parvero rimanere sospesi a mezz’aria.
«Eccoli» disse il vecchio. «Seguiranno i bambini. Dovete sparire. Vi troverò io.»
Senza dare alla coppia il tempo di ribattere, il vecchio aprì la por- tiera e si infilò al posto di guida. Le tre sagome si stavano avvicinando. L’uomo e la donna indietreggiarono verso la casa mentre il motore, con un raschio di tosse, si accendeva. Per un attimo le ruote girarono a vuoto sulla neve, poi fecero presa e la macchina, slittando, partì. Ora le sagome correvano e passarono davanti all’uomo e alla donna senza nemmeno girarsi a guardarli, concentrate soltanto sull’auto che sbandava a destra e sinistra sulla strada innevata.






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