sabato 21 maggio 2011

Il linguaggio segreto dei fiori

AUTORE: Vanessa Diffenbaugh
GENERE: Romanzo

TRAMA:

Victoria ha paura del contatto fisico. Ha paura delle parole, le sue e quelle degli altri. Soprattutto, ha paura di amare e lasciarsi amare. C'è solo un posto in cui tutte le sue paure sfumano nel silenzio e nella pace: è il suo giardino segreto nel parco pubblico di Portero Hill, a San Francisco. I fiori, che ha piantato lei stessa in questo angolo sconosciuto della città, sono la sua casa. Il suo rifugio. La sua voce. È attraverso il loro linguaggio che Victoria comunica le sue emozioni più profonde. La lavanda per la diffidenza, il cardo per la misantropia, la rosa bianca per la solitudine. Perché Victoria non ha avuto una vita facile. Abbandonata in culla, ha passato l'infanzia saltando da una famiglia adottiva a un'altra. Fino all'incontro, drammatico e sconvolgente, con Elizabeth, l'unica vera madre che abbia mai avuto, la donna che le ha insegnato il linguaggio segreto dei fiori. E adesso, è proprio grazie a questo magico dono che Victoria ha preso in mano la sua vita: ha diciotto anni ormai, e lavora come fioraia. I suoi fiori sono tra i più richiesti della città, regalano la felicità e curano l'anima. Ma Victoria non ha ancora trovato il fiore in grado di rimarginare la sua ferita. Perché il suo cuore si porta dietro una colpa segreta. L'unico capace di estirparla è Grant, un ragazzo misterioso che sembra sapere tutto di lei. Solo lui può levare quel peso dal cuore di Victoria, come spine strappate a uno stelo. Solo lui può prendersi cura delle sue radici invisibili. Solo così il cuore più acerbo della rosa bianca può diventare rosso di passione.

INCIPIT:
Erano otto anni che sognavo il fuoco. Gli alberi si incendiavano al mio passaggio, l’oceano bruciava.
Mentre dormivo, il fumo dolciastro mi avvolgeva i capelli e il suo aroma si depositava come una nuvola sul cuscino quando mi alzavo. Tuutavia, appena il materasso cominciò a scottare balzai giù dal letto. L’odore penetrante della combustione non assoligliava affatto al tenue sentore caramellato dei miei sogni. Erano diversi come il gelsomino indiano e quello della Carolina: unione e separazione. Impossibile confonderli.
In piedi in mezzo alla stanza, individuai l’origine delle fiamme: una file ordinata di fiammiferi in fondo al mio letto. Si erano accesi uno dopo l’altro e ardevano come piccoli pali di una staccionata lungo il bordo del materasso. Li guardai bruciare e provai un terrore spropositato davanti alle fiammelle tremolanti. Per un attimo ebbi di nuovo dieci anni, bambina disperata e insieme fiduciosa come non ero mai stata prima e non sarei più stata dopo di allora.
Ma il nudo materasso sintetico non prese fuoco com'era successo ai cardi in quel lontano ottobre: bruciò brevemente senza fiamme prima di spegnersi.
Era il mio diciottesimo compleanno.

Le ragazze sedevano irrequiete una accanto all'altra sul divano sfondato del soggiorno. I loro occhi passarono in rassegna il mio corpo fino ai piedi nudi senza traccia di bruciature. Una di loro sembrò sollevata, un'altra delusa. Se mi fossi fermata ancora una settimana, mi sarei ricordata ogni singola espressione di quelle facce. E mi sarei vendicata infilando loro chiodi arrugginiti nella suola delle scarpe e sassolini nelle ciotole di chili. Una volta, per uno sgarbo molto più lieve di un incendio, avevo appoggiato la punta arroventata di una gruccia per abiti sulla spalla di una compagna di stanza che dormiva.
Ma stavo per andarmene. Mancava solo un'ora e tutte loro sapevano.
La ragazza seduta la centro del divano si alzò. Sembrava giovane -quindici o sedici anni al massimo - ed era graziosa in un modo insolito per me: portamento elegante, pelle chiara, abiti nuovi. Non la riconobbi subito, ma quando attraversò la stanza notai qualcosa di famigliare nel suo modo di camminare con le braccia piegate in posa aggressiva. Anche se era appena arrivata, non era una sconosciuta. Mi venne in mente che avevo già vissuto con lei negli anni dopo Elizabeth, quando ero al culmine della rabbia e della violenza.
Si fermò a pochi centimetri da me, con il mento proteso nello spazio che ci separava.
"Il fuoco", disse con voce pacata, "è da parte di tutti noi. Buon compleanno."
Le ragazze si agitarono sul divano dietro di lei. Una si tirò su il cappuccio, un'altra si avvolse più stretta in una coperta. La luce del mattino guizzò lungo la fila di occhi abbassati, facendole sembrare all'improvviso più giovani, e in trappola. Le uniche via d'uscita da una comunità alloggio come quella erano scappare, diventare maggiorenni o finire in un carcere minorile. Dopo una certa età non ti adottavano più, e accadeva raramente di tornare a casa, ammesso di averne una. Quelle ragazze sapevano che cosa le aspettava e nei loro occhi si leggeva la paura: di me, delle compagne, della vita che si erano meritate o ritrovate a vivere per caso. provai un'ondata inattesa di compassione. Io me stavo andando, loro erano costrette a restare.


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