mercoledì 4 maggio 2011

Gran Circo Taddei

AUTORE: Andrea Camilleri
GENERE: Romanzo 

TRAMA:
Otto storie, tanto perfette e compiute da costituire ciascuna un breve romanzo. Ci sono i personaggi della Vigàta di ogni tempo, l’inventario di una Sicilia dalle inesauribili sfaccettature: avvocati brillanti, chiromanti improvvisate, contadini e studentesse, preti e federali, comunisti sfegatati, donne risolute, un repertorio che suscita il sorriso o la pietà, e sempre un forte coinvolgimento. Ma in queste storie c’è anche un elemento fiabesco, mitico, un improvviso scarto dalla narrazione che ritorna insistente. È una traccia sotterranea che si mescola con il momento storico che è sempre ben definito, al punto che sin dalle prime righe di ogni storia la narrazione viene incastonata in una data precisa, la fine dell’Ottocento, l’alba del 1900, ma più spesso gli anni del fascismo, dello sbarco, del dopoguerra. Quasi sempre è l’ironia, la burla a dominare, o il gallismo brancatiano, oppure l’umanità solidale che non manca mai nelle storie di Camilleri che in quella «piazza della memoria» che è Vigàta, attinge a storie vere o verosimili depositate fra i suoi ricordi, per reinventarle e raccontarle con la sua capacità affabulatoria, tutte spruzzate da una polvere di simpatia.
Le storie raccolte in questo volume sono: Gran Circo Taddei Il merlo parlante La fine della missione Un giro di giostra La congiura Regali di Natale La trovatura La rivelazione

INCIPIT:
Nell’anni che furo ’ntorno al milli e novecento e trenta, ’na quinnicina di jorni prima di ogni cangio di stascione, ogni lunidì Ciccino Firrera, ’ntiso «Beccheggio», immancabilmenti arrivava a Vigàta col treno delle otto del matino che viniva da Palermo. Carricava supra a ’na carrozza un baullo e dù enormi baligie chine chine ligate con lo spaco e si faciva portari all’albergo «Moderno» indove, come al solito, pigliava ’na càmmara per dormirici e affittava per tri jorni il saloni «Mussolini» per fari l’esposizioni. Appena ghiunto in albergo, svacantava il baullo e le baligie e apparava nel saloni ’na mostra di abiti fimminili ultima moda della premiata sartoria palermitana Stella Del Pizzo, allura di grannissima fama ’n Sicilia, della quali egli s’acqualificava come l’unico rappresentanti ambulanti autorizzato alla vinnita. Verso l’una della stissa matinata, nell’ura nella quali tutti sinni stavano ’n casa a mangiari, a bordo di un sidecar affittato da Totò Rizzo che faciva macari da autista, Ciccino si firriava coscienziosamenti tutta Vigàta gridanno dintra a un megafono di lanna: «Beddre signure e beddre signurine! Ciccino arrivò! Arrivò Ciccino! L’esposizioni è aperta dalle quattro alle setti di doppopranzo presso l’albergo Moderno fino a mercordì. Viniti! Viniti a vidiri i meravigliosi, novissimi abiti di Stella Del Pizzo per la stascione che arriva!». A quell’annunzio, le fìmmine schette e maritate che si potivano permittiri d’accattarisi un abito della famusa sartoria, scasavano. Oltretutto Ciccino faciva sconti grossi assà, che erano squasi da liquitazioni. Nei tri jorni d’apirtura, il saloni era sempri chino e Ciccino pigliava nota del vistito che ogni signura si era scigliuto, contrattava il prezzo e si mittiva ’n sacchetta il dinaro. Po’, dal jovidì matina fino alla duminica matina, annava ’n casa di ognuna col vistito scigliuto, glielo faciva provari e in un vidiri e svidiri, da bravissimo sarto quali era, tagliava, cusiva, allungava, allargava, stringiva, accorzava, assistimava seduta stante. La duminica doppopranzo, con il baullo e le baligie vacanti, sinni tornava ’n Palermo e arrivederci tra tri misi.


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