lunedì 9 maggio 2011

Manna e Miele, Ferro e Fuoco

AUTORE: Giuseppina Torregrossa
GENERE: Romanzo Sentimentale

TRAMA:
Romilda viene alla luce in una notte di tormenta, mentre la neve avvolge Gangi come un presepe e Maricchia e Alfonso, stanchi e felici, nel caldo della loro casa si stupiscono davanti al miracolo di quella fi glia femmina tanto attesa, bella e polposa come una spiga di grano a giugno. Con Maricchia che le insegna a ricavare il miele dalle api e Alfonso che le affi da il segreto di estrarre la manna dai frassini, sostanza preziosa e curativa, la bimba cresce all’aria aperta, fra il bosco e le arnie – una pupa di manna e miele, una creatura magica che incanta le api e ammalia chiunque le si avvicini. La sua vita allegra e solare viene però presto stravolta dall’incontro con la violenza e la prepotenza, con il ferro e il fuoco portati da don Francesco, il temibile barone di Ventimiglia, che la chiede in sposa ancora bambina. Una domanda di matrimonio che è piuttosto un atto d’acquisto, perché al barone non si può dire di no e continuare a vivere. La loro sarà un’unione diffi cile, senza amore, ma che, passando attraverso patimenti e piccole gioie, riporterà infi ne Romilda ai suoi boschi, dove diventerà la prima mannaluora delle Madonie e una donna dolce e forte, intelligente e appassionata. Una pupa di manna e di miele, di ferro e di fuoco.

INCIPIT:
“Corri, Tanuzzo, corri. Vai da commare Finuzza, dicci che tua madra da un minuto a n’autru sgrava.” Tanuzzo, il figlio mezzano di Alfonso Gelardi u mannaluoro, partì a schioppo. Il cuore batteva forte, aveva ricevuto un incarico di grande responsabilità, e ne sentiva tutto il peso. Sebbene impaurito all’idea di affrontare da solo il buio e il freddo di quel pomeriggio invernale, Tanuzzo non se lo fece ripetere due volte, il padre aveva appena finito la frase che lui era già fuori dalla porta. il paese deserto e spettarla lo ingoiò.
Nevicava a “lassa e pigghia” da tre giorni, fiocchi larghi come fazzoletti erano caduti dal cielo trasformando le trazzere in lunghi e scivolosi bastri dai bordi arricciati. Gli scarponi non avevano nessuna presa sulla discesa traslucida e il ragazzo allargava le braccia per dare stabilità al suo corpo fragile.
Secco e ossuto, planava verso il palazzo Mocciaro come fosse un uccello azzoppato.
La neve era arrivata prima del previsto, e già alla fine di Ottobre le montagne erano tutte bianche. L’Etna in lontananza era una enorme broscia di panna. Il freddo di Dicembre aveva fatto il resto, e per Santa Lucia le case di Gangi si intravedevano appena. Tutto il borgo aveva l’aspetto di un piccolo presepe allestito con grande anticipo sul Natale. Maricchia, la moglie del mannaluoro, era incinta per la quarta volta e, in completo accordo con le fasi della luna, così piena che scoppiava, aveva deciso di partorire proprio in quella notte di tormenta.
Il desiderio di una figlia femmina le trafiggeva il petto da tempo. Dopo tre maschi e con tutto quello che aveva passato per tirarli su, le sembrava di essere in credito con il padreterno, al quale rivolgeva ogni sera preghiere e rimproveri: "Grazie per quello che mi hai dato, Signore, però un piccolo sforzo lo potresti fare. E dammela una figlia femmina, che ti costa? La commare Angelina ne ha tre, la gnà Carmela sette e io niente! O troppo a siccu o troppo a saccu. Vero è che non c'è giustizia...E amen" conculdeva stizzita. A forza di recriminare però, quel Dio che lei accusava di essere ingiusto le aveva dato ascolto, e la notte del 19 Marzo 1857 - stiamo parlando di nove mesi prima, perchè tanto ci vuole per fare le cose -,mentre si dava al marito con una passione inusuale, era rimasta incinta.
Era la festa di San Giuseppe, la famiglia Gelardi aveva portato il pane a benedire e poi si erano fermati tutti insieme in parrocchia per la tradizionale cena con i poverelli. Pasta, lenticchie e baccalà fritto come vuole l'usanza gangitana. Sulla strada del ritorno Alfonso si era scaldato a vedere le forme di burro della moglie che gli camminava davanti. Vero è che aveva bevuto un poco di più, ma non si poteva certo dire che fosse ubriaco, semmai allegro, magari in trippu. O forse era stata colpa dell'imminente primavera che aveva già fatto fiorire i mandorli o della forzata astinenza che si protraeva dall'autunno. Il resto l'aveva fatto il profumo d'arancia che emanava la pelle bianca di Maricchia quando si scaldava per qualche voglia segreta.

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