martedì 3 aprile 2012

Kitchen

AUTORE: Banana Yoshimoto
GENERE: Romanzo

TRAMA:
Da quando la nonna è morta, Mikage è sola al mondo. Le cucine che sogna continuamente rappresentano il suo desiderio della famiglia che non ha. E, non avendola, decide di inventarsela, scegliendosi i genitori nella cerchia delle proprie amicizie. Il padre del suo amico Yuichi, per esempio, può diventare tranquillamente sua madre. Un'immagine inedita e sorprendente del Giappone, con temi e situazioni che ricordano quelli dei fumetti manga, rielaborati però attraverso una lingua letteraria e al tempo stesso agile e spigliata.

INCIPIT:

Non c’è posto al mondo che io ami più della cucina.
Non importa dove si trova, com’è fatta: purché sia una cucina, un posto dove si fa da mangiare, io sto bene. Se possibile le preferisco funzionali e vissute. Magari con tantissimi strofinacci asciutti e puliti e le piastrelle bianche che scintillano.
Anche le cucine incredibilmente sporche mi piacciono da morire.
Mi piacciono col pavimento disseminato di pezzettini di verdura, così sporche che la suola delle pantofole diventa subito nera, e grandi, di una grandezza esagerata. Con un frigo enorme pieno di provviste che basterebbero tranquillamente per un intero inverno, un frigo imponente, al cui grande sportello metallico potermi appoggiare. E se per caso alzo gli occhi dal fornello schizzato di grasso o dai coltelli un po’ arrugginiti, fuori le stelle che splendono tristi. Siamo rimaste solo io e la cucina. Mi sembra un po’ meglio che pensare che sono rimasta proprio sola.
Nei momenti in cui sono molto stanca, mi succede spesso di fantasticare. Penso che quando verrà il momento di morire, vorrei che fosse in cucina. Che io mi trovi da sola in un posto freddo, o al caldo insieme a qualcuno, mi piacerebbe poterlo affrontare senza paura. Magari fosse in cucina!
Prima che i Tanabe mi prendessero con loro, dormivo sempre in cucina. Non riuscivo mai a prendere sonno, e una volta che vagavo per le stanze all’alba alla ricerca di un angolino confortevole, scoprii che il posto migliore per dormire era ai piedi del frigo.
Mi chiamo Mikage Sakurai. I miei genitori sono morti tutti e due giovani. Perciò sono stata allevata dai nonni. Il nonno è morto quando ho cominciato le medie. Da allora io e la nonna abbiamo vissuto da sole.
Pochi giorni fa all’improvviso è morta la nonna. Sono rimasta di stucco.
Se mi metto a pensare che la mia famiglia - che era lì, reale - nel giro di pochi anni è scomparsa così, una persona alla volta, mi sembra di non poter credere più a niente. Essere rimasta io sola in questa càsa dove sono cresciuta, mentre il tempo continua a scorrere regolare, mi sconvolge. E pura fantascienza. Le tenebre del cosmo.
Tre giorni dopo il funerale ero ancora stordita. Trascinandomi dietro quella vaga sonnolenza che accompagna la tristezza più cupa e senza lacrime, stesi il futon nella cucina silenziosa e splendente. Dormii raggomitolata nella coperta come Linus, col ronzio del frigorifero che mi proteggeva da pensieri di solitudine. Così la notte se ne andò abbastanza tranquillamente, e venne il mattino.
Volevo solo dormire alla luce delle stelle.
Volevo svegliarmi nella luce del mattino.
A parte questo, tutto il resto mi era completamente indifferente.
Ma non potevo andare avanti così per sempre. E incredibile, la realtà.
La nonna mi aveva lasciato denaro a sufficienza, ma l’appartamento in cui abitavo era troppo grande e costoso per una persona sola, bisognava che ne cercassi un altro. Non sapendo dove battere la testa comprai una rivista di annunci e cominciai a guardarla, ma le offerte di case, che erano tante e sembravano tutte uguali, mi diedero il capogiro. Trasloco significava lavoro. Energia.
Io ero senza forze e avevo dolori dappertutto per quel mio dormire sul pavimento di cucina. Non potevo far finta che non fosse così. Dove avrei trovato l’energia per andare in giro a vedere appartamenti? per trasportare bagagli? per richiedere il telefono?
Ricordo bene quel pomeriggio, me ne stavo sdraiata pensando con disperazione a una lista interminabile di problemi quando mi capitò un miracolo, qualcosa di caduto dal cielo.
Din-don. All’improvviso suonò il campanello.
Era un pomeriggio un po’ nuvoloso di primavera. Avevo dato solo una sbirciata alla rivista di annunci, ma ne avevo avuto subito abbastanza, ed ero assorbita dall’operazione di legare con lo spago alcuni giornali in vista dell’eventuale trasloco. Sorpresa corsi alla porta così com’ero, vestita a metà, e senza chiedere chi fosse girai la chiave e aprii. Per fortuna non era un ladro, era Yuichi Tanabe.
"Ah, salve. Grazie ancora per l’altro giorno," dissi. Era un ragazzo simpatico, di un anno minore di me. Al funerale era stato di grande aiuto. Mi aveva detto che studiava alla mia stessa università. Io in quei giorni non ci andavo. "Figurati," disse lui. "Già trovato un appartamento?" "Macché. Ancora niente,» risposi io e sorrisi.
"Beh, non è facile."
"Vuoi entrare a bere qualcosa?"
"No, grazie, vado di fretta," disse, e sorrise. "Sono salito solo un attimo per dirti una cosa. Ho parlato con mia madre e... non verresti a stare da noi per un po’?"
"Cosa?" feci io.
"In ogni caso, vieni da noi stasera verso le sette. Ti ho fatto una mappa per trovare la strada."
"Ah." Confusa presi il pezzo di carta.
"Allora, d’accordo. Mikage, io e mia madre siamo davvero contenti che tu venga. Ti aspettiamo."
Sorrise di nuovo. C’era nel suo sorriso una tale freschezza che non riuscivo a staccare lo sguardo da lui. I suoi occhi mi sembravano vicinissimi mentre stava lì, in quell’ingresso che mi era così familiare. Ma doveva essere anche il fatto di sentirmi chiamare per nome all’improvviso. "Hmm... allora va bene, vengo."
Lo so, poteva essere l’insidia di un diavolo. Ma lui era così cool. Sentii che potevo fidarmi. Nell’oscurità che mi circondava apparve una strada, come sempre accade quando un diavolo ti tenta. Ma era bianca, luminosa, e sembrava sicura, perciò risposi sì.
"Bene, allora a più tardi," disse lui sorridendo, e se ne andò.
Prima del funerale della nonna praticamente non lo co-noscevo. Fu quel giorno, che Yuichi Tanabe fece la sua apparizione. Ricordo che mi chiesi seriamente se non fosse l’amante della nonna. Al momento di bruciare l’incenso chiuse gli occhi gonfi di lacrime, e la mano gli tremava. Poi, quando vide la foto della nonna riprese a piangere senza freno.
Non potei fare a meno di pensare che il suo amore per la nonna doveva essere più forte del mio. Sembrava proprio disperato.
Premendosi il viso con il fazzoletto, mi chiese:"Ti prego, lascia che faccia qualcosa."
E poi dette aiuto in molti modi.
Yuichi Tanabe.
Dovevo essere molto confusa se mi ci volle un bel po’
per ricordarmi di quando avevo sentito il suo nome dalla nonna.
Lavorava part-time dal fioraio da cui la nonna si serviva. Molte volte le avevo sentito dire: "Sai, c’è un ragazzo molto caro... si chiama Tanabe... anche oggi è stato lui a servirmi..." Alla nonna piacevano mòlto i fiori e per non farli mai mancare in cucina passava dal fioraio almeno due volte alla settimana. Ricordavo vagamente che un giorno lui l’aveva accompagnata a casa portando una grande pianta. Era un ragazzo alto e snello, dai bei lineamenti. Di lui
non sapevo niente. Avevo la sensazione di averlo visto dal fioraio lavorare con molto impegno. Anche dopo averlo conosciuto un pochino, chissà perché l’impressione di un tipo un po’ ’freddo’ non cambiò. Il suo modo di fare e di parlare erano gentili, ma ugualmente avvertivo una distanza. La nostra conoscenza era tutta qui. In pratica, un perfetto estraneo.

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