giovedì 26 aprile 2012

L'isola delle chiatte

AUTORE: Daniele Grillo, Valeria Valentini
GENERE: Romanzo

TRAMA:
Anna Rouvery ha poco più di trent'anni e la sua vita è tutta un tango. Un contratto con l'Accademia e una scuola di ballo tutta sua, una mansarda sui tetti attorno a piazza della Posta Vecchia, le lunghe lettere alla madre scritte sempre sotto la luce di una candela. In un'anonima alba settembrina il suo cadavere viene trovato sulla piattaforma galleggiante ancorata al centro dell'antico porto di Genova. Per il commissario Elia Marcenaro il delitto dell'Isola delle Chiatte è l'occasione per un'insperata rivincita dopo l'esilio, durato anni, all'ufficio passaporti. Un riscatto dal passato di errori e travolgenti amori, dal presente di una figlia lontana e di nevrosi mal curate. Ma venire a capo dell.enigma di passione e fede nascosto tra le pagine di cinque grandi classici della letteratura non sarà affatto semplice. I vicoli della città vecchia e l.incantevole bellezza di capo Santa Chiara, l'antico convento di Santa Maria di Castello dove le indagini lo condurranno, lo strano e luccicante abbracciarsi di moli non più porto e non ancora luogo, faranno da sfondo a esistenze e storie di mondi all'apparenza lontani e impermeabili. Solo grazie alla sensibilità e all'amore per la conoscenza della bella agente Beatrice Palazzesi, Marcenaro riuscirà a comprendere il vero significato delle parole che fino ad allora aveva letto senza capire.

INCIPIT:
Legno, anima. E acqua. Se ti capitasse di morire sull’isola di legno dedicata a Luciano Berio e conservassi la coscienza di ciò che accade attorno al tuo corpo, avresti l’impressione di trovarti al centro di un’ampia piroga. Membra e anima che avanzano galleggiando sull’acqua, come in uno di quei riti orientali che affidano al dio fiume l’ultimo viaggio. Vuoi per quella musica delle giunture che collegano le chiatte al pontile, vuoi per l’insieme di armonia e poesia che evoca il nome del compositore, vuoi ancora per quella posizione di prominenza nel centro dell’antico porto della città, qui sembra quasi che le braccia della Superba protese sul mare ti accompagnino. Verso un luogo, però, che non volevi ancora raggiungere. Il cadavere di Anna Rouvery fu trovato schiena contro un parapetto della piccola piazza sul mare del porto antico. Lo strano luogo, né mare né terra, che si affaccia al centro del golfo, ricavato su un paio di vecchie chiatte agganciate al molo dell’Acquario. Il corpo giaceva sulla sinistra della seconda piattaforma, nell’angolo che guarda verso i magazzini del cotone. Anzi, per la precisione Anna si trovava quasi seduta con le braccia alzate e le mani ancora aggrappate alle ringhiere, insanguinate in più punti. A tradire una posizione che avresti detto normale, quasi l’istantanea di un momento di relax, le gambe scomposte, innaturali, piegate in una posizione che nessuna donna assumerebbe mai. E il viso, il viso tradiva ancora di più. Gli occhi sbarrati avevano attorno alle orbite macchie scure al posto del trucco. Sulla fronte, parte destra, un largo ematoma. Rosso intenso, in netto contrasto con lo spettrale pallore di morte della pelle. Ad attraversare quel volto senza più vita un rivolo di capelli intrisi di sangue. – Chi l’ha trovata? – chiese il commissario con un’espressione di malcelata partecipazione. – Si chiama Rudy Mac Lyell ed è il fotografo di una rivista inglese. È a Genova da cinque giorni, ama venire qui all’alba per trovare la luce che serve per scattare le sue immagini. Difficile che sia stato lui, commissario. Il portiere del suo albergo sostiene che è rimasto in stanza fino alle cinque di questa mattina. E secondo il medico che ha constatato il decesso, la donna è morta prima. Aveva con sé i documenti. È italiana, ma probabilmente ha origini francesi. Si chiamava Anna Rouvery. – Sentite quelli della vigilanza, fatemi parlare con qualunque stronzo sia passato di qui nelle ultime dodici ore. Voglio sapere tutto di questa ragazza. Due battelli indugiavano attorno a quel francobollo di legno ondeggiante, mentre un poliziotto si sbracciava per intimare ai curiosi di allontanarsi. La bella cartolina del golfo guadagnava una magica profondità grazie alla linea dei magazzini, dopo la rivoluzione delle Colombiane, passati da depositi di comuni batuffoli a contenitori per ricchi congressi. Il mare correva in mezzo ai moli increspandosi lievemente in corrispondenza delle correnti. L’intuizione di Renzo Piano di dare a quello spazio anche un’altezza, disegnando la piovra rovesciata del Bigo, da molti genovesi venne considerata folle, aliena, brutta. Ma ormai i grassi e metallici bracci bianchi svettavano da diversi anni nello scenario del porto antico. Erano entrati nelle immagini dei turisti, nei loro ricordi. Per gli autoctoni continuavano a non significare molto. Poco importa. Questo distretto sul mare era, e sarebbe rimasto, qualcosa di profondamente diverso dalla città, dalla sua storia. Dalla sua anima. Elia Marcenaro era arrivato tardi come sempre, sul luogo del delitto. D’altra parte voleva essere sempre sicuro che gli uomini della Scientifica avessero compiuto i loro rilievi, per lo meno quelli iniziali, e sapeva che prima di un paio d’ore il pigro pm di turno non avrebbe fatto capolino. Ripeteva sempre ai suoi più stretti collaboratori che troppa scienza aveva rovinato il sapore antico dell’indagare e, assieme al sapore, i risultati. Le giunture dell’isola delle chiatte, mai oliate come impose l’archistar genovese che la disegnò, urlavano e gracchiavano mentre le due grandi piattaforme di legno che la sostenevano continuavano a ballare, corteggiate dal movimento delle onde. Il commissario aveva visto diversi morti nella sua vita. Ma una donna così bella, così piena di vita, così elegante, per fortuna, non l’aveva mai incontrata a trapasso avvenuto. Anna, esile e leggera come solo le ballerine sanno essere, portava un vestito nero, semplice e raffinato allo stesso tempo. L’abito raggiungeva l’altezza delle ginocchia, l’ideale per un caldo inizio settembre come quello in cui trovò la morte. Un coprispalle di cotone completava il tutto. Ma di esso era rimasto poco: mezzo strappato pendeva tra il collo della donna e il parapetto, lasciando le braccia del cadavere nude. Doveva essersi truccata e non solo attorno agli occhi, per quell’ultimo appuntamento. Il risultato non era volgare, piuttosto manteneva una certa sobrietà. Il suo volto era per metà insanguinato, tuttavia Marcenaro si accorse che oltre all’ematoma, un taglio di media profondità spuntava da sotto i capelli. Rimanevano alcuni brillantini a far risaltare gli splendidi occhi. I capelli lisci e scuri erano disordinati e in parte le coprivano l’occhio sinistro. Chissà quanti sguardi di uomini dovevano aver attirato quelle gambe. Ora il loro chiarore e lo smalto rosso sulle unghie dei piedi spiccavano come in una fotografia d’autore sul pavimento scuro dell’isola. Le scarpe si trovavano a qualche metro di distanza. Ma la donna con ogni probabilità non le aveva perse durante una colluttazione con l’assassino, ed era anche assai improbabile che in quella posizione perfetta fossero rimaste dopo un tuffo spontaneo dal parapetto. I due sandali di vernice nera erano, composti e paralleli, ai piedi di una delle panchine sulle quali gli innamorati, la sera, sono soliti scambiarsi effusioni. Lucentezza intatta, le scarpe puntavano in direzione della legittima proprietaria che non le avrebbe più indossate. Sulla panchina, semiaperta, una borsetta da sera di paillettes nere. Dentro un paio di chiavi, probabilmente di casa, un pacchetto di fazzoletti, un porta- documenti rosa e nient’altro.

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