martedì 24 aprile 2012

Dizionario delle cose perdute

AUTORE: Francesco Guccini
GENERE: Romanzo

TRAMA:
Dalle osterie fuori porta alle braghe corte che oggi nessun ragazzino è più costretto a portare, dal fumo libero nei cinema ai telefoni in duplex, dalla macchina da scrivere ai taxi verdi e neri che quasi nessuno ricorda più, dalle linguette per aprire le lattine agli odori - non ancora coperti dallo smog globale - che animavano ogni angolo delle città: con un poco di nostalgia, ma soprattutto con tutta l'energia e la poesia della sua prosa, Francesco Guccini rivolge il suo sguardo sornione su oggetti, situazioni, emozioni di un passato che è di tutti, ma che rischia di andare perduto. Un viaggio nella vita di ieri che si legge come un romanzo: per scoprire che l'archeologia "vicina" di noi stessi commuove, diverte e parla di come siamo diventati.

INCIPIT:
BANANA
Noi siamo quelli della banana. 
Abbiamo, miracolosamente, e di poco, evitato le fasce, quel sistema ignobile di costrizione che voleva tutti gli infanti trasformati in mummie egizie, ma l’infame banana no, non siamo riusciti a evitarla. Appena nati, innocenti, incolpevoli, hanno preso i nostri primi e scarsi capelli e li hanno foggiati in modo che, sulla fronte, emergesse un ricciolone enorme e cavo, un vezzo al quale in nessun modo potevamo ribellarci, una specie di grottesco cannolo che sovrastava i nostri occhi, da poco spalancati sul mondo. Non solo ai maschi è stata imposta tale umiliazione, alla quale evidentemente era impossibile opporsi, ma anche alle femmine toccò questa triste sorte - in più, per loro, con l’aggravante di un lezioso fìocchetto, una piccola farfalletta di stoffa a coronamento del tutto. Poi, non paghi, ci hanno fotografato. Ma non in casa, perché allora quasi nessuno aveva una macchinetta casalinga, non come ora che, con l’ausilio di ignobili telefonini, è tutto un ticchettare continuo che nemmeno i più convinti giapponesi. No, ci facevano uscire, ci esponevano ai pericoli delle città o delle campagne, ai terribili rigori metereologici, i geli d’inverno, i caldi tropicali dell’estate, e ci portavano in uno studio fotografico. Là ci immortalavano, sordi ai nostri giusti lamenti. Nudi, distesi in varie pose oscene su pelli di svariati felini, lo sguardo vuoto di infantile e innocente perplessità, se non di autentico e consapevole terrore, là tutti a mostrare dubbie rotondità di glutei e tettine grassocce di cui le femmine, raggiunta la pubertà, si sarebbero poi vergognate per i secoli a venire; ma anche i maschi, con eventuali pisellini in aria, non siamo stati da meno, da sempre timorosi che un qualunque discendente, un figlio, un peggio, un nipote, le scoprisse, quelle foto, e ne facesse materia di ignobile e vile ricatto. Noi siamo quelli lì. Oh, certo, siamo cresciuti, e abbiamo affrontato, chi più, chi meno, le varie avversità o le gioie (le poche, in verità, gioie) che la vita di volta in volta ci ha presentato. Così oggi, non tanto più sereni ma, diciamo, distaccati, vogliamo voltarci indietro e riguardare con affettuosa rimembranza a tante piccole cose che abbiamo incontrato e che, come tante altre cose andate, più che andarsene ci sono volate via. 
IL CHEWING –GUM 
Quando gli americani arrivarono in Italia, in tempo di guerra, oltre alle profumate sigarette, portarono un mucchio di altre cose da noi allora sconosciute, o quasi. La Coca-Cola, per fare un esempio, il burro di arachidi, i pancakes (le frittelle di Paperino) e il chewing-gum. Insieme alle cioccolate (le Hershey) e le multicolori caramelle col buco foggiate a ciambella di salvataggio (le Life Savers), i G.I. statunitensi gettavano ai ragazzini misteriosi pacchettini oblunghi; una volta scartati, questi rivelavano delle tavolettine anch'esse oblunghe e odorose. Caramelle americane? Forse. Ma che fare di quelle strane caramelle? Via lesti in bocca. Però, mastica mastica, quella caramella perdeva sapore e non si scioglieva, e fu quindi rapidamente inghiottita. Avevamo fatto conoscenza con la gomma da masticare. Pare che l’uso di masticare qualcosa sìa antico come il mondo, anche se non parlerò dei Neanderthal, (sembra masticassero pure loro curiose resine. Ecco perché poi sono stati sopraffatti dai Cro-Magnon). Gli antichi greci masticavano non so quale altra resina (gli antichi romani, per fortuna, non masticavano niente), ma si dice che i primi a ruminare gomma seria (grazie, ce l'avevano!) fossero i Maya, che masticavano abitualmente palline di gomma ricavate da una pianta, la Manilkara chilcle, e via andavano felici. I nordamericani avevano provato a masticare qualcosa, tipo la resina dell’abete rosso, e ci furono diversi tentativi con altri strani ingredienti, ma fu solo un certo William Semple a ottenere un brevetto, il 28 dicembre 1869, per palline ottenute con la gomma chicle. Erano però senza alcun sapore (un po’ come fumare le sigarette senza nicotina o bere la birra senza alcol), e la geniale invenzione dovette essere perfezionata, fino a giungere alla varia gamma di gusti e offerte dei nostri giorni, anche se certe gomme da masticare non usano più la gomma chicle ma una sostanza chiamata poli-isobutilene, credo un derivato di idrocarburi: praticamente si mastica petrolio e il solo pensiero dovrebbe spingere a legittima ripugnanza. Ma bando alle ciance: finita la guerra finita la guerra finito il chewing-gum? No, ovviamente, perché l’ondata masticatoria non accennava a diminuire (soprattutto fra i ragazzi) e uscirono italianissimi prodotti, chiamati ben presto "cingomma", o "cicca", o in altre cento regionali varianti. Per esempio, ci fu un malluccone rosa, all’inizio di caramelloso gusto e di incerta masticazione, che presto esauriva gli effluvi saporosi. L’astuto ragazzo allora lo tuffava nello zucchero e rimasticava, perchè si guardava bene dal gettare via il bolo, ma, al primo (anche al secondo) accenno di male alle ganasce, lo riponeva saggiamente in tasca per ritirarlo fuori a una nuova bisogna e indi ricacciarlo in bocca dopo averlo sommariamente ripulito da briciole e peluzzi vari. Ma il vero divertimento non era tanto masticare quanto infìlarsi pollice e indice in bocca ed estrarne un lungo filo rosato, badando bene che non si spezzasse, rimettere il tutto in bocca e ripetere l’operazione ad libitum, in special modo alla presenza di adulti che gridavano naturalmente allo schifo. Dopodichè veniva ficcato di nuovo in tasca e lì, a volte dimenticato, si trasformava presto in reperto archeologico. Uscirono però quasi subito forme più umane di gomme, alcune delle quali contenenti la figurina di un famoso ciclista o di un noto calciatore, il che aumentava la preziosità dell'acquisto. Ma il vero colpo fu l’invenzione della bubble-gum (credo, questa, americana), la gomma che faceva i palloni. Tu masticavi masticavi e poi, saggiata fra lingua e denti la giusta consistenza, soffiavi tenue fino ad ottenere la fuoriuscita, fra le labbra, di un palloncino che i più abili riuscivano a a foggiare di notevoli dimensioni. Scoppiava anche con un caratteristico sonoro ciac, che, ripetuto più volte, era utilissimo a far girare le scatole a un vicino adulto (e a far partite pure uno schiaffo). Unico svantaggio, il palloncino poteva esplodere sulla faccia rendendo oltremodo difficile il nettarla dai filamenti gommosi. Ma da bambini non sono cose che preoccupano. Questi giochi sono misteriosamente scomparsi da adolescenti. Solo, a volte, vicino alla ragazzina che ti piaceva, potevi estrarre un pacchettino rettangolare colmo di pasticchette bianche e dire, nonscialante: “Vuoi un chiclets?”.

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