venerdì 16 dicembre 2011

Il Giorno In Più

AUTORE: Fabio Volo
GENERE: Letteratura Italiana

TRAMA:
Lui sta cercando se stesso, ma trova lei. La incontra su un tram, per caso come succedono certe cose. Lei scivola via alla fermata, ma lui sente che deve fare di tutto per ritrovarla. Allora si trasforma in un investigatore privatissimo e scopre che la sorgente della sua tempesta emotiva e ormonale è partita per New York. Non gli resta che salire su un aereo diretto alla Grande Mela e fare di tutto per incrociare di nuovo quello sguardo.

INCIPIT:
Sono sicuro, nel sonno, di svegliarmi in una casa in riva al mare, dove ho trascorso tutta la notte con la donna che amo, vivendo con lei momenti di assoluta felicità. Il rumore delle onde ha accompagnato prima la veglia, poi il sonno, abbracciati nel tepore dei nostri corpi nudi.
Mi sveglio invece in una camera d’albergo a Parigi e, pur sapendo ormai di uscire da un sogno, continuo a sentire il delicato rumore delle onde del mare.
Ma a Parigi non c’è il mare!
Di fronte a questa ineluttabile verità, sento crescere i rumori della strada delle grandi metropoli.
Sono le sette e venti. La sveglia è puntata alle otto, ma capita sempre più frequentemente che io mi svegli prima. Oggi, però, questo mio anticipare la sveglia è meno misterioso. Ieri sera, quando sono arrivato, ero molto stanco per la giornata intensa e per il viaggio, e verso le dieci mi sono messo a letto senza cenare, addormentandomi subito. Se non mangio è come quando mi metto a dieta: mi sveglio con meno fatica sapendo che posso fare colazione.
Forse il vero motivo di questo risveglio anticipato è dovuto all’appuntamento di oggi. Il più importante della mia vita. Non posso ancora sapere cosa realmente accadrà, ma l’emozione che vivo in questo momento è così misteriosamente affascinante che mi riporta a quelle mattine presto, quando fuori era ancora buio e mi alzavo per scoprire i regali di Natale portati nella notte. Sono rimasto a letto, preso da questi pensieri che mi fasciavano e mi avvolgevano. Mi sono alzato solo per aprire le tende, ma poi sono tornato subito sotto le coperte. Mi piace rimanere nel tepore del risveglio. Mi aiuta a entrare lentamente in ciò che mi aspetta. Guardo fuori dalla finestra e ammiro il cielo e i tetti di Parigi. Ci sono un po’ di nuvole che si muovono veloci. Riordino i pensieri, e osservo un po’ la mia vita. Sono molto intimo con me stesso nelle ore del mattino. Molto più che la sera. Mi capita spesso, quando vado a letto, di pensare alle mie cose, ma negli anni ho scoperto che al mattino sono più buono con me stesso. Più tranquillo. Quando mi sveglio prima, me ne resto a letto a sentire tutti i piccoli rumori. Anche quelli dentro di me. Ascolto quelli della casa, a volte quelli dei vicini, o quelli della strada. Oggi i rumori sono tutti nuovi. Porte che si chiudono, rubinetti aperti nella stanza confinante, chiacchiere in lingua straniera nel corridoio. Quello che prima credevo fosse il mare in realtà è il furgoncino che pulisce le strade. Questo albergo si sveglia presto.
Suona la sveglia. Decido di alzarmi. Mi faccio la doccia e mi vesto. È settembre. Esattamente il 16 settembre. Guardando fuori dalla finestra non capisco se cambierà il tempo e se pioverà. Nella vita, quando ho avuto bisogno di sapere se il tempo sarebbe cambiato, solitamente mi rivolgevo a mia nonna. Non ha mai sbagliato un colpo. La sua frase era: “Mi fanno male le gambe, domani piove”. E il giorno dopo pioveva. Da bambino avevo anche una statuetta della Madonna che cambiava colore in base al tempo, ma le gambe della nonna erano più infallibili della Madonna.
Apro la finestra. Non fa molto freddo, ma mi porto ugualmente un maglioncino. Mia madre un paio di mesi fa mi ha regalato l’asciugatrice. A casa mia non si stende più. Però da quando la uso i miei indumenti sono diventati più piccoli. La maglietta con cui ho dormito mi arriva sotto l’ombelico e le mutande che ho appena messo mi stringono. Asciuga e accorcia. Però sono contento che me l’ha regalata perché il mio metodo di prima era pessimo. Buttavo tutti i panni insieme sullo stendino e così ammucchiati si asciugavano a pezzi in una settimana, prima una manica e poi il collo, poi il resto. La cosa peggiore con questo metodo è che se un giorno sudi quegli indumenti rilasciano un odore tremendo. Di cane bagnato.
Invece di fare colazione in hotel preferisco andare in uno dei miei posti preferiti, Le Pain Quotidien. Mi trovo vicino al Centre Pompidou e decido quindi di passeggiare fino a Rue des Archives, dov’è il locale. Le Pain Quotidien è una catena di negozi che si trovano in tutto il mondo. Sono tutti uguali, tutto in legno: pavimento, tavoli, sedie, armadi, bancone. Legno chiaro, tipico del Nordeuropa. Mentre mangi ti senti uno scoiattolo del bosco. Caffellatte, cappuccio, caffè americano, tutto viene servito nelle scodelle, come faceva mia nonna.
Ho preso una spremuta d’arancia, caffè americano e una brioche. Se c’è una cosa che ti fa capire che sei a Parigi è l’odore di burro che ti resta sulle mani tutto il giorno dopo aver fatto colazione con un croissant.
È già pieno di gente. Non sento parlare solamente in francese, ma ai tavoli vicini al mio in questo momento si parla tedesco, portoghese, inglese.
Mi metto il maglioncino. Adesso fa un po’ fresco.
Dall’altra parte della strada c’è Starbucks Cafe con i soliti divanetti e poltrone in vetrina. Quante volte nel mondo mi sono seduto a leggere un libro o a scrivere al computer su quelle poltrone. Soprattutto quando avevo l’aereo tardi per tornare a casa e dovevo lasciare la stanza d’albergo alle undici del mattino. Praticamente diventava la mia casa per quel giorno: ci dormivo, su quelle poltrone.
Il mio appuntamento è alle undici al giardino del Lussemburgo. Non sono nemmeno le dieci e visto che sono vicino vado a visitare uno dei miei posti preferiti a Parigi: Place des Vosges. Ogni volta che la vedo mi commuovo. Passeggio per il Marais. Settembre è uno dei mesi che amo di più. Mi piacciono quelle stagioni in cui quando passeggi cerchi il sole, in cui se c’è un lato della strada all’ombra e l’altro con il sole attraversi la strada per sentirlo. Molto meglio di quando passeggi d’estate e attraversi la strada per evitarlo. In Rue des Francs Bourgeois, a quest’ora, il sole è sul lato destro.
Arrivo ai giardinetti di Place des Vosges e mi siedo su una panchina sotto un albero, vicino a una delle quattro fontane. L’aria è fresca. Stendo le braccia sullo schienale e a occhi chiusi alzo il viso in alto per farmi baciare da questi tiepidi raggi di sole. Poi sento uno scricchiolio di passi sulla ghiaia. Apro gli occhi. È una ragazza. Si siede sulla panchina vicino alla mia, apre il computer portatile e inizia a scrivere. Capita spesso di vedere persone con il computer ai giardini, qui ci si può collegare a internet con wi-fi, per cui molti, finché c’è bel tempo, vengono a lavorare all’aria aperta.
Le donne che passeggiano per Parigi hanno qualcosa di diverso. Non ho mai capito veramente che cosa sia a renderle più belle ai miei occhi. Sembrano sottratte per natura alla volgarità del mondo. Forse perché il loro modo di vestirsi rivela sempre qualcosa di intimo. I loro vestiti le raccontano, le determinano. Una volta una spilla, una volta un cappello, i guanti, una fascia, una collana, un colore su un altro. Ci sono vestiti che stanno bene solo a donne belle, altri che stanno bene solo a donne con il carattere bello. Per esempio, ciò che indossa la ragazza seduta vicino a me dice molte cose di lei. Dà la sensazione che lei viva in un mondo tutto suo, in cui lei sta bene e, guardandola, senti il desiderio di farne parte.

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