giovedì 22 dicembre 2011

Il Piccolo Principe

AUTORE: Antoine de Saint-Exupery
GENERE: Racconto Fantastico (in tutti i sensi)

TRAMA:
Il Piccolo Principe è un adulto-bambino che lascia il suo minuscolo asteroide per mettersi in viaggio nel cosmo. Durante il cammino, visita sei pianeti diversi, abitati da strani personaggi: un re, un vanitoso, un ubriacone, un uomo d'affari, un uomo che accende e spegne un lampione, un geografo. Sono personaggi equivoci, che mettono in risalto il lato ridicolo degli affanni umani. Queste storie hanno lo scopo d'insegnare a vivere: essere coraggiosi tra i vili, buoni tra i malvagi, liberi tra i prepotenti, sinceri tra i bugiardi, saggi in ogni circostanza dell'esistenza. Alla fine il Piccolo Principe giunge sulla Terra, e precisamente nel deserto del Sahara: a parte un serpente, non c'e anima viva, così si mette alla ricerca degli uomini. Nel tragitto, s'imbatte in una volpe, il Principe la invita a giocare, ma l'animale può accettare solo se prima sarà addomesticato. L'incontro con la volpe è il capitolo più lungo di tutto il libro e anche il più importante, perché in queste righe emerge il valore dell'amicizia. Per la volpe significa essere addomesticata, per il Piccolo Principe prendersi cura della sua rosa. Da quest'animale il Piccolo Principe, apprende importanti verità, prima d'incontrare l'io narrante, un aviatore precipitato nel deserto e scomparire poi definitivamente.
Il Piccolo Principe si rivela alla fine, l'amico che ciascuno di noi vorrebbe avere a suo fianco, e ci aiuta, attraverso un meraviglioso viaggio di sincerità e fantasia, a ritrovare il bambino che è nascosto in noi.

INCIPIT:
I
Un tempo lontano, quando avevo sei anni, in un libro sulle foreste primordiali, intitolato “Storie vissute della natura”, vidi un magnifico disegno. 
Rappresentava un serpente boa nell’atto di inghiottire un animale. 
Eccovi la copia del disegno.
C’era scritto: “I boa ingoiano la loro preda tutta intera, senza masticarla. 

Dopo di che non riescono più a muoversi e dormono durante i sei mesi che la digestione richiede”. 
Meditai a lungo sulle avventure della jungla. 
E a mia volta riuscii a tracciare il mio primo disegno. 
Il mio disegno numero uno. Era così:
Mostrai il mio capolavoro alle persone grandi, domandando se il disegno li spaventava. 
Ma mi risposero: “ Spaventare? Perché mai, uno dovrebbe essere spaventato da un cappello?” . 
Il mio disegno non era il disegno di un cappello.
Era il disegno di un boa che digeriva un elefante. 

Affinché vedessero chiaramente che cos’era, disegnai l’interno del boa. 
Bisogna sempre spiegargliele le cose, ai grandi. 
Il mio disegno numero due si presentava così:
Questa volta mi risposero di lasciare da parte i boa, sia di fuori che di dentro, e di applicarmi invece alla geografia, alla storia, all’aritmetica e alla grammatica. 
Fu così che a sei anni io rinunziai a quella che avrebbe potuto essere la mia gloriosa carriera di pittore.
Il fallimento del mio disegno numero uno e del mio disegno numero due mi aveva disarmato. 

I grandi non capiscono mai niente da soli e i bambini si stancano a spiegargli tutto ogni volta. 
Allora scelsi un’altra professione e imparai a pilotare gli aeroplani. Ho volato un pò sopra tutto il mondo: e veramente la geografia mi è stata molto utile. 
A colpo d’occhio posso distinguere la Cina dall’Arizona, e se uno si perde nella notte, questa sapienza è di grande aiuto.
Ho conosciuto molte persone importanti nella mia vita, ho vissuto a lungo in mezzo ai grandi. 
Li ho conosciuti intimamente, li ho osservati proprio da vicino. 
Ma l’opinione che avevo di loro non è molto migliorata.
Quando ne incontravo uno che mi sembrava di mente aperta, tentavo l’esperimento del mio disegno numero uno, che ho sempre conservato. 

Cercavo di capire così se era veramente una persona comprensiva. 
Ma, chiunque fosse, uomo o donna, mi rispondeva: “È un cappello”.
E allora non parlavo di boa, di foreste primitive, di stelle. 

Mi abbassavo al suo livello. Gli parlavo di bridge, di golf, di politica, di cravatte. 
E lui era tutto soddisfatto di avere incontrato un uomo tanto sensibile.


II
Così ho trascorso la mia vita solo, senza nessuno cui poter parlare, fino a sei anni fa quando ebbi un incidente col mio aeroplano, nel deserto del Sahara. Qualche cosa si era rotta nel motore, e siccome non avevo con me nè un meccanico, nè dei passeggeri, mi accinsi da solo a cercare di riparare il guasto.
Era una questione di vita o di morte, perché avevo acqua da bere soltanto per una settimana. 

La prima notte, dormii sulla sabbia, a mille miglia da qualsiasi abitazione umana. Ero più isolato che un marinaio abbandonato in mezzo all’oceano, su una zattera, dopo un naufragio. 
Potete immaginare il mio stupore di essere svegliato all’alba da una strana vocetta: “Mi disegni, per favore, una pecora?” 
“Cosa?” 
“Disegnami una pecora”. 
Balzai in piedi come fossi stato colpito da un fulmine. Mi strofinai gli occhi più volte guardandomi attentamente intorno. 
E vidi una straordinaria personcina che mi stava esaminando con grande serietà.
Qui potete vedere il miglior ritratto che riuscii a fare di lui, più tardi. 
Ma il mio disegno è molto meno affascinante del modello. 
La colpa non è mia, però. Con lo scoraggiamento che hanno dato i grandi, quando avevo sei anni, alla mia carriera di pittore, non ho mai imparato a disegnare altro che serpenti boa dal di fuori o serpenti boa dal di dentro. 
Ora guardavo fisso l’improvvisa apparizione con gli occhi fuori dall’orbita per lo stupore. 
Dovete pensare che mi trovavo a mille miglia da una qualsiasi regione abitata, eppure il mio ometto non sembrava smarrito in mezzo alle sabbie, nè tramortito per la fatica, o per la fame, o per la sete, o per la paura.
Niente di lui mi dava l’impressione di un bambino sperduto nel deserto, a mille miglia da qualsiasi abitazione umana.

Quando finalmente potei parlare gli domandai: “Ma che cosa fai qui?” 
Con tutta risposta, egli ripetè lentamente come si trattasse di cosa di molta importanza: “Per piacere, disegnami una pecora...”
Quando un mistero è così sovraccarico, non si osa disubbidire. 

Per assurdo che mi sembrasse, a mille miglia da ogni abitazione umana, e in pericolo di morte, tirai fuori dalla tasca un foglietto di carta e la penna stilografica. 
Ma poi ricordai che i miei studi si erano concentrati sulla geografia, sulla storia, sull’aritmetica e sulla grammatica e gli dissi, un pò di malumore, che non sapevo disegnare. Mi rispose: “Non importa. Disegnami una pecora...” 
Non avevo mai disegnato una pecora e allora feci per lui uno di quei disegni che avevo fatto tante volte: quello del boa dal di dentro; e fui sorpreso di sentirmi rispondere: 
“No, no, no! Non voglio l’elefante dentro il boa. Il boa è molto pericoloso e l’elefante molto ingombrante. Dove vivo io tutto è molto piccolo. Ho bisogno di una pecora: disegnami una pecora”. 
Feci il disegno.
Lo guardò attentamente, e poi disse: “No! Questa pecora è malaticcia. Fammene un’altra”. 
Feci un altro disegno.
Il mio amico mi sorrise gentilmente, con indulgenza. 
“Lo puoi vedere da te”, disse, “che questa non è una pecora. È un ariete. Ha le corna”. 
Rifeci il disegno una terza volta, ma fu rifiutato come i precedenti.
“Questa è troppo vecchia. Voglio una pecora che possa vivere a lungo”. 
Questa volta la mia pazienza era esaurita, avevo fretta di rimettere a posto il mio motore. 
Buttai giù un quarto disegno. 
E tirai fuori questa spiegazione: “Questa è soltanto la sua cassetta. La pecora che volevi sta dentro”.
Fui molto sorpreso di vedere il viso del mio piccolo giudice illuminarsi. “Questo è proprio quello che volevo. Pensi che questa pecora dovrà avere una gran quantità d’erba?” 
“Perchè?”
“Perché dove vivo io, tutto è molto piccolo...” 

“Ci sarà certamente abbastanza erba per lei, è molto piccola la pecora che ti ho data”. 
Si chinò sul disegno: “Non così piccola che – oh, guarda! – si è messa a dormire...” 
E fu così che feci la conoscenza del piccolo principe.


III
Ci misi molto tempo a capire da dove venisse. 
Il piccolo principe, che mi faceva una domanda dopo l'altra, pareva che non sentisse mai le mie.
Così, quando vide per la prima volta il mio aeroplano (non lo disegnerò perché sarebbe troppo complicato per me), mi domandò: "Che cos'è questa cosa?"
"Non è una cosa - vola. È un aeroplano. È il mio aeroplano". Ero molto fiero di fargli sapere che volavo.
Allora gridò: "Come? Sei caduto dal cielo!"
"Si", risposi modestamente.
"Ah! Questa è buffa..." E il piccolo principe scoppio in una bella risata che mi irritò. Voglio che le mie disgrazie siano prese sul serio.
Poi riprese: "Allora anche tu vieni dal cielo! Di quale pianeta sei?" 

Intravvidi una luce, nel mistero della sua presenza, e lo interrogai bruscamente: "Tu vieni dunque da un altro pianeta?"
Ma non mi rispose. Scrollò gentilmente il capo osservando l'aeroplano. "Certo che su quello non puoi venire da molto lontano..." E si immerse in una lunga meditazione.
Poi, tirando fuori dalla tasca la mia pecora, sprofondò nella contemplazione del suo tesoro. Vi potete bene immaginare come io fossi incuriosito da quella mezza confidenza su "gli altri pianeti".
Cercai dunque di tirargli fuori qualche altra cosa: "Da dove vieni, ometto? Dov'è la tua casa? Dove vuoi portare la mia pecora?"
Mi rispose dopo un silenzio meditativo: "Quello che c'è di buono, è che la cassetta che mi hai dato, le servirà da casa per la notte".
"Certo. E se sei buono ti darò pure una corda per legare la pecora durante il giorno. E un paletto".
La mia proposta scandalizzò il piccolo principe. "Legarla? Che buffa idea!"
"Ma se non la leghi andrà in giro e si perderà..."
Il mio amico scoppiò in una nuova risata: "Ma dove vuoi che vada!"
"Dappertutto. Dritto davanti a sè..."
E il piccolo principe mi rispose gravemente: "Non importa, è talmente piccolo da me!" 

E con un pò di malinconia, forse, aggiunse: "Dritto davanti a sè non si può andare molto lontano..."'

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