mercoledì 21 dicembre 2011

Il Centenario Che Saltò Dalla Finestra E Scomparve

AUTORE: Jonas Jonasson
GENERE: Romanzo

TRAMA:
Allan Karlsson compie cento anni e per l'occasione la casa di riposo dove vive intende festeggiare l'evento: Allan, però, è di un'altra idea e decide di punto in bianco di scappare. Con le pantofole ai piedi scavalca la finestra e si dirige alla stazione degli autobus. Lì ruba la valigia a un giovane biondo dall'aria feroce, sale sul primo autobus che gli capita e inizia così, sbarcando in uno sperduto villaggio svedese sconosciuto, una serie esilarante di equivoci e di incontri, anzitutto con Julius Jonsson - un settantenne ladro e truffatore.

INCIPIT:
CAPITOLO 1
Lunedì 2 maggio 2005
Di certo Allan Karlsson avrebbe potuto pensarci prima e, magari, comunicare agli interessati la sua decisione. In effetti non aveva mai riflettuto troppo sulle cose. Ecco perché quell’idea non ebbe neanche il tempo di fissarsi nella sua testa che già aveva aperto la finestra della stanza al pianterreno della casa di riposo di Malmköping, nel Sörmland, per poi sgusciare fuori e atterrare nell’aiuola sottostante.
La manovra richiedeva un certo fegato, dal momento che Allan compiva cent’anni proprio quel giorno. Solo un’ora dopo nella sala comune della casa di riposo avrebbero avuto inizio i festeggiamenti. Sarebbe stato presente persino il segretario comunale. E l’inviata del giornale locale. E tutti gli ospiti dell’ospizio. E tutto il personale, capitanato dalla ringhiosa e arcigna infermiera Alice.
Soltanto il festeggiato non aveva la benché minima intenzione di partecipare.

CAPITOLO 2
Lunedì 2 maggio 2005
Ancora incerto sul da farsi, Allan Karlsson se ne stava seduto nell’aiuola di viole del pensiero che correva lungo uno dei lati della casa di riposo. Indossava una giacca marrone e pantaloni dello stesso colore, ai piedi un paio di pantofole sempre marroni. Non si poteva dire che seguisse la moda, ma a quell’età si trattava senz’altro di un fatto perdonabile. Stava fuggendo dalla sua festa di compleanno – evento di per sé straordinario, dato che non capita a tutti di arrivare a cent’anni.
Allan stava meditando se tornare o meno a scavalcare la finestra per prendere scarpe e cappello, ma quando si accorse che il portafoglio era al suo posto, nella tasca interna della giacca, desistette. In più occasioni l’infermiera Alice aveva mostrato di possedere un certo fiuto (indipendentemente da dove Allan nascondesse l’acquavite, per esempio, lei la trovava sempre). E magari proprio in quel momento si stava aggirando per l’edificio già piena di sospetti...
Meglio sparire finché era in tempo, pensò Allan prima di abbandonare l’aiuola sulle ginocchia malferme. Nel portafoglio, per quanto riuscisse a ricordare, aveva alcune banconote da cento corone, i suoi risparmi. Bene! Sparire avrebbe comportato qualche spesa.
Guardandosi alle spalle, lanciò un’occhiata in direzione dello stabile che fino a un attimo prima aveva considerato la sua ultima dimora, dopodiché si disse che sarebbe morto da qualche altra parte.
Con ai piedi le sue pantofole pisciose (quando urinano, gli uomini d’età avanzata raramente riescono a raggiungere un punto che vada più in là delle proprie scarpe), il vecchio si incamminò per la sua strada. Oltrepassò un parco e uno spiazzo all’interno del piccolo centro abitato, normalmente silenzioso e tranquillo, dove a giorni alterni si teneva il mercato. Dopo qualche centinaio di metri entrò nell’area che circondava la chiesetta medievale, orgoglio della cittadina, per poi raggiungere una panchina posta nel bel mezzo delle lapidi e riposarsi le ginocchia. La sacralità del luogo non era tale da impedire ad Allan di starsene in pace sulla panchina. Ironia della sorte, scoprì di essere nato lo stesso giorno di un certo Henning Algotsson, sepolto sotto la pietra tombale lì di fronte. La differenza consisteva nel fatto che il povero Henning era spirato sessantun anni prima.
Se fosse stato il tipo, Allan si sarebbe chiesto il perché di una morte così prematura, a soli trentanove anni, ma in realtà era uno che non si impicciava degli affari altrui, non quando poteva farne a meno, cosa che accadeva quasi sempre.
Si mise invece a riflettere su un’altra questione: aveva sbagliato a pensare che l’unica alternativa fosse finire i suoi giorni in quella casa di riposo. Benché avesse qualche acciacco, sarebbe stato molto più istruttivo sfuggire alle grinfie dell’infermiera Alice che stare lì in attesa di giacere lungo stecchito sotto due metri di terra.
A questo punto il festeggiato si alzò, e sfidando le ginocchia doloranti si congedò da Henning Algotsson per riprendere la sua fuga improvvisata.
Attraversò il cimitero finché non si ritrovò davanti un muretto in pietra che gli sbarrava la strada. Non era più alto di un metro, ma Allan aveva cent’anni e non era un campione di salto. Al di là del muretto c’era la stazione dei pullman di Malmköping, e in quell’istante Allan realizzò che le sue gambe lo stavano conducendo proprio lì. Una volta, molti anni prima, aveva attraversato l’Himalaya. Quella sì che era stata un’impresa! Immaginò di trovarsi di fronte all’ultimo ostacolo e si concentrò a tal punto che il muretto rimpicciolì davanti ai suoi occhi, fin quasi a scomparire. Individuato il punto più basso, a dispetto dell’età e delle ginocchia, lo scavalcò. Raramente c’era ressa a Malmköping e quella giornata di primavera non faceva eccezione. Non aveva ancora incontrato anima viva dal momento in cui aveva preso la sua decisione. Anche la sala d’attesa della stazione era mezzo deserta quando ci arrivò strascicando le pantofole. Al centro della stanza, l’una contro l’altra, c’erano due file di panchine dotate di schienale. Tutti i sedili erano vuoti. Sul lato destro della stanza c’erano due sportelli: uno era chiuso, mentre dietro l’altro sedeva un tipo piccolo e magro con un paio di occhialetti tondi, capelli radi con la riga di lato e l’uniforme. Quando Allan fece la sua apparizione, l’omino alzò lo sguardo dallo schermo del computer con espressione afflitta. Forse gli pesava il caos pomeridiano, pensò Allan, rendendosi conto di non essere l’unico viaggiatore nella sala. In un angolo c’era un giovane dalla corporatura esile, i capelli lunghi, biondi e unti, la barba incolta e un giubbotto di jeans con la scritta “Never Again” sulla schiena. Magari non sapeva leggere, visto che continuava a scuotere la porta del gabinetto per disabili come se il termine “Chiuso”, a caratteri neri su sfondo giallo fosforescente, non avesse per lui alcun significato.
Finalmente il giovane si dedicò alla porta accanto, anche se il problema adesso era un altro: non voleva separarsi da una grossa valigia grigia con le rotelle, ma purtroppo il gabinetto non era grande abbastanza per entrambi. Allan arguì che il giovane avrebbe dovuto lasciare il bagaglio all’esterno se intendeva dare sfogo ai suoi bisogni corporali, oppure spingere dentro la valigia e rimanere fuori lui.
Tuttavia, concentrato com’era a muovere le sue povere gambe, non era poi così interessato alle questioni del giovane. A piccoli passi si diresse verso l’omino dietro lo sportello, per chiedere se ci fosse un mezzo di qualsiasi tipo in partenza per una qualunque destinazione nei minuti successivi, e se c’era quanto costava.
L’omino aveva un’aria stanca. E doveva anche aver perso il filo del discorso, perché dopo qualche secondo di riflessione chiese:
“E verso quale meta è diretto il signore?”
Con rinnovato slancio, Allan gli ricordò che la scelta della destinazione era subordinata a: 1) orario di partenza; 2) costo del biglietto.
L’omino rimase in silenzio qualche altro secondo, mentre studiava la tabella degli orari e lasciava sedimentare le parole di Allan.
“Il pullman numero 202 parte per Strängnäs fra tre minuti. Le va bene?”
Sì, ad Allan andava bene. Così, fu informato che il veicolo sarebbe partito dalla piazzola lì di fronte e che la cosa migliore sarebbe stata acquistare il biglietto dal conducente.
Allan si domandò cosa ci stesse a fare l’omino allo sportello se non per vendere biglietti, ma non disse niente. Magari se lo domandava anche lui. Invece lo ringraziò, facendo il gesto di sollevare il cappello che nella fretta aveva lasciato in stanza.
Si accomodò quindi su una panchina, sprofondando nei suoi pensieri: la dannata festa di compleanno sarebbe iniziata alle tre e mancavano solo dodici minuti. In qualsiasi momento avrebbero potuto bussare alla sua porta e da lì in poi sarebbe scoppiato il finimondo.
Il festeggiato rideva tra sé quando con la coda dell’occhio si accorse che qualcuno si stava avvicinando. Era il giovane dalla corporatura esile, i capelli lunghi, biondi e unti, la barba incolta e un giubbotto di jeans con la scritta “Never Again” sulla schiena. Si stava dirigendo proprio verso di lui, trascinando la grossa valigia con le rotelle. Allan concluse che il rischio di dover conversare con il capellone era notevole, tuttavia la cosa avrebbe anche potuto risultare interessante: si sarebbe fatto un’idea del modo di ragionare dei ragazzi d’oggi.
In effetti un dialogo ebbe luogo, e nemmeno così complesso. Il giovane, dopo essersi fermato a qualche metro di distanza da Allan, sembrò studiarlo prima di dire:
“Senti un po’.”
Allan rispose educatamente con un buongiorno e chiese in che modo potesse essergli d’aiuto. Ecco. Il giovane voleva che gli tenesse d’occhio la valigia mentre andava al gabinetto. O, stando alle sue parole:
“Devo andare a cagare.”
Allan rispose educatamente che, nonostante fosse vecchio e malandato, la vista gli funzionava bene, pertanto non reputava troppo impegnativo dare un’occhiata alla valigia. Detto questo, lo esortò a espletare i propri bisogni con una certa celerità dal momento che lui era in attesa del pullman.
Evidentemente il giovane non recepì le ultime parole, visto che si mosse a passi svelti verso il gabinetto mentre Allan stava ancora parlando.
Il vecchio non era uno che si irritava con facilità, che ce ne fosse o meno motivo, dunque non si irritò neanche davanti al rozzo comportamento del giovane. Perse però la buona disposizione, cosa che avrebbe avuto parecchia importanza in vista di ciò che doveva accadere di lì a poco.
Ciò che accadde fu che il pullman numero 202 fece la sua comparsa pochi secondi dopo che il giovane si era richiuso alle spalle la porta del gabinetto. Allan diede un’occhiata prima al pullman, poi alla valigia, poi di nuovo al pullman e poi ancora una volta alla valigia.
“A quanto pare ha le rotelle,” constatò. “E anche una cinghia per tirarla.”
Così Allan si sorprese a prendere – e qui lo si può ben dire – una decisione di capitale importanza.

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