AUTORE: Karen Swan
GENERE: Letteratura Rosa
TRAMA:
Cassie pensava di aver realizzato il suo sogno d'amore, sposando il suo primo fidanzato. Adesso, a distanza di dieci anni, si sente tradita e a pezzi. Il suo matrimonio è in crisi, non ha un lavoro e nemmeno una casa: ha urgente bisogno di capire chi sia realmente e quale direzione prendere. È ora di voltare pagina e abbandonare la vita fin troppo tranquilla della campagna scozzese. Così decide di passare del tempo con ognuna delle sue migliori amiche, nelle tre capitali più glamour del mondo: New York, Parigi e Londra. In un viaggio ricco di sorprese e incontri inaspettati, dalle vetrine luccicanti della Fifth Avenue ai caffè sugli Champs Élysées, fino alle stradine colorate di Notting Hill, Cassie cercherà di scoprire quale sia la città su misura per lei. Sarà la magica scatolina blu di Tiffany a cambiare la sua vita per sempre?
INCIPIT:
Kelly Hartford guardò fuori dal finestrino del taxi, esaminando l’orizzonte in cerca di qualche punto di riferimento – un lago, un palazzo bizzarro o un albero particolarmente alto – che potesse confermarle che stavano andando nella direzione giusta. Erano passati dieci anni esatti dall’ultima volta che era andata a trovare la sua amica, e aveva dimenticato quanto fosse fuori il fuori città in cui viveva. A parte un paio di abitazioni rurali nella brughiera, per più di cinquanta chilometri non aveva visto case o macchine. Kelly non capiva come facesse Cassie a resistere, in quel posto.
Dal finestrino entrò un raggio di sole, che la abbagliò per un attimo, e la indusse a rovistare nella borsa in cerca di un paio di occhiali da sole. Un’altra cosa che aveva dimenticato era quanto fossero più lunghi i giorni lassù durante l’estate. Erano quasi le sette di sera di un giorno di tardo agosto, ma dal blu del cielo sembrava mezzogiorno. Solo verso le undici il sole avrebbe fatto un inchino di commiato e sarebbe sparito dietro le colline.
Arrivarono a un bivio in quella strada che sembrava non avere fine, e il taxi girò a sinistra. Kelly si stirò i pollici come le aveva insegnato il fisioterapista, e poi ricominciò a digitare freneticamente sul telefono. Non a lungo, però: la macchina prese una strada sterrata e dovette aggrapparsi al poggiatesta per mantenersi dritta.
«Gesù», brontolò, mentre le sospensioni imbizzarrite la sballottavano di qua e di là. «Forse un cammello sarebbe stato più comodo».
Il tassista, arcigno, non rispose, ma lei sapeva che quel colabrodo di strada di campagna era il punto di riferimento che stava cercando. Più avanti si intravedevano le aquile in cima alle colonne e la casetta del custode, a segnare il perimetro della tenuta e la fine del suo lungo viaggio. Essendo arrivata a Edimburgo dopo aver fatto scalo a Heathrow, viaggiava da un giorno intero, e aveva disperatamente bisogno di una doccia e di un bel riposino prima di entrare nel vivo dei festeggiamenti. Sapeva benissimo che ce l’avrebbe fatta anche prendendo il volo successivo. Se fosse passata per Newark, sarebbe atterrata tre ore prima e avrebbe avuto tutto il pomeriggio per riposarsi ed essere pronta insieme agli altri, ma chi voleva prendere in giro? Per le ragazze come lei JFK era l’unico aeroporto, e in ogni caso Bebe stava impazzendo per mettere insieme la collezione: le stava per venire un colpo quando Kelly aveva insistito per lasciare il lavoro per presenziare a una festa in Scozia. Erano le ultime due settimane disponibili per terminare le collezioni, e rimanere a disposizione fino alla fine, portare con sé solo il bagaglio a mano e aspettare fino all’ultimo minuto per imbarcarsi era stato il minimo che avesse potuto fare.
Il terreno coperto d’edera della brughiera scomparve improvvisamente al cancello, per fare posto a un viale di altissimi pini scozzesi i cui aghi ricoprivano il suolo come un tappeto. Il taxi procedeva lento sulla strada che si snodava in mezzo a banchi di aceri bordeaux, alti e vibranti, rododendri viola e prati color magenta di trifogli accarezzati dal vento. Quell’improvvisa esplosione di colori curatissimi annunciava la prossimità della grande villa, e mentre l’auto passava in mezzo ai due alberi di tasso giganteschi e bombati che incorniciavano la strada, pensò che sembrava più imponente di come se la ricordava. E più rosa. Era stata costruita con una pietra tipica della zona, e di solito, immersa nella consueta pioggia, appariva marrone. Quella sera invece, scaldata dal sole di fine estate, virava su delle allegre tinte di rosso. Alta, con sei cuspidi affilate come cappelli di streghe, la casa iniziava con una distesa di gradini di pietra fino al portone d’ingresso e proseguiva con delle finestre dai vetri piombati, una delle quali era un’enorme vetrata panoramica che prendeva tutta la facciata centrale, inondando l’ingresso di luce e offrendo una vista straordinaria sulle colline del Lammermuir dalla balconata sopraelevata.
Mentre il taxi rallentava in prossimità della scalinata d’ingresso, Kelly alzò il volume della suoneria del suo iPhone al massimo: una volta dentro l’enorme casa, non voleva perdere nessuna chiamata.
Poi abbassò le spalle di quasi cinque centimetri, cercando di fare una serie di respiri profondi, come se si apprestasse a fare yoga. Bebe se la sarebbe cavata senza di lei. La sera dopo sarebbe risalita sull’aereo e sarebbe tornata in ufficio lunedì, per pranzo. C’era chi si prendeva pause più lunghe di quella anche per andare in bagno.
L’orologio a pendolo dell’ingresso al piano di sotto batté il settimo rintocco proprio mentre il tappo dello champagne schizzava via e Suzy lo versava nei bicchieri.
«Cin cin!», esclamò Cassie, mentre si sedeva sul letto con le gambe raccolte e gli occhi luminosi e scintillanti. «A noi».
Anouk piegò la testa da un lato. «Non farti sentire da tuo marito», la provocò con il suo morbido accento francese. «Teoricamente, questa serata sarebbe per te e lui».
Cassie scrollò le spalle, felice, e sospirò. Naturalmente Anouk aveva ragione. Avevano resistito insieme dieci anni, in un momento storico in cui la maggior parte delle coppie non superava il secondo, e per celebrare avevano organizzato una festa, in grande quanto era stato il matrimonio, o forse anche di più. Ma anche se Cassie andava fiera del traguardo raggiunto, se non altro perché voleva dire che aveva mantenuto la sua parte del loro “accordo”, ciò che la entusiasmava ancora di più era il fatto che quella era un’occasione perfetta per radunare le sue migliori amiche dai quattro angoli del mondo. Sapeva bene che Suzy, Anouk e Kelly si vedevano abbastanza spesso: dopotutto, Londra, Parigi e New York erano città che toccavano abitualmente nei loro viaggi. Ma chi deviava mai fino agli Scottish Borders? Nessuna di loro. Quando fosse arrivata anche Kelly, sarebbe stata la prima volta che si ritrovavano tutte insieme dal giorno del suo matrimonio.
Cassie osservò Susy mentre prendeva con cura una scatola celeste a pois color cioccolato dall’estremità del letto. «Lo champagne potrà anche essere per te e Gil», disse ridacchiando, «ma queste sono per noi». Dentro la scatola c’erano quattro cupcake giganti, ricoperte con una glassa al limone chiarissima e guarnite con una rosa bianca in cima.
«Magnifique», sospirò Anouk, allungandosi per passarne una a Cassie.
«Oddio, sono adorabili», urlò Cassie, alzando la sua alla luce del sole. «Sembrano dei coniglietti». C’era una bella differenza tra la Dundee cake e tutte le prelibatezze sofisticate che ti allettavano dalle vetrine delle pasticcerie a Pimlico, rifletté Cassie.
«Sono al frutto della passione?», chiese, seminando briciole dappertutto.
Suzy annuì. «Ti piacciono? Ho lavorato alla ricetta insieme alla pasticceria, per un matrimonio che sto organizzando. Ci è voluta una vita per farle venir fuori come volevo: una volta erano venute troppo appiccicose, quella dopo troppo insapori. Ma adesso mi pare che ci siamo, no?».
Cassie annuì, estasiata.
«La sposa si sta comportando bene?», chiese Anouk, lasciandosi andare sui cuscini e mangiando la sua cupcake a piccoli morsi. Suzy alzò gli occhi al cielo. «Lo fanno mai? Praticamente l’unica cosa su cui non ha cambiato idea è lo sposo. Ma, visto che
manca ancora un mese, c’è sempre tempo». Anouk scosse la testa, ridacchiando. «Non so come fai a reggere, con tutto lo stress che ti riverseranno addosso». Suzy diede uno sguardo al suo pancino rotondo. «Be’, potrei cavarmela anche in situazioni peggiori. Perché secondo voi le mie spose perdono sempre almeno cinque chili prima del loro matrimonio, e io invece sembra che riesca solo a ingrassare? Voglio dire, sono io quella con le rogne da risolvere! Accordarsi con i fiorai, con i gestori che affittano i locali due volte, e poi gruppi musicali inaffidabili, DJ cocainomani, parroci minacciosi... Qualsiasi problema vi venga in mente, è un problema che ho già affrontato. Dovrei essere io quella che dimagrisce». Cassie sospirò. Da quando la conosceva – cioè da quando erano nate – Suzy era sempre stata ossessionata dal tentativo di rimpicciolire. A dodici anni era già alta un metro e settantacinque, con una costituzione che sarebbe comunque rimasta atletica anche se fosse stata scheletrica. Si era sempre sentita troppo ingombrante, e il desiderio adolescenziale di essere come le altre non l’aveva mai abbandonata, soprattutto ora che lavorava ogni giorno a contatto con spose sempre più magre.
Ma qualunque cosa pensasse Suzy del suo peso, a Cassie sembrava più in forma che mai: dimostrava meno dei suoi trent’anni, con il suo colorito rosa e vellutato, quegli occhioni marroni da Bambi e il taglio scalato che portava da un po’ e valorizzava al massimo i suoi sottilissimi capelli biondo scuro.
Anouk, dall’altra parte, era l’antitesi di Suzy sotto ogni aspetto. Minuta, scura e sicura di sé. La sua chioma folta, color castagna, era acconciata in un caschetto scompigliato di eccellente fattura, tagliato precisamente all’altezza dei suoi zigomi pronunciati. Aveva un naso dritto e sottile, e delle labbra piene piacevolmente accentuate dall’arcata superiore dei denti un po’ sporgente. Paragonata a Suzy, portava male i suoi trent’anni, ma non per via delle rughe o di qualsiasi altro segno borghese dell’età: Cassie sapeva bene che con il contenuto del bagno di Anouk si sarebbe potuta riempire una profumeria e che sulla cura del proprio aspetto aveva una disciplina che avrebbe fatto impallidire Cleopatra. Il fatto era che aveva una sofisticata aria di donna di mondo che era raro vedere poggiata su spalle così delicate, e che si poteva osservare di solito in donne di dieci o venti anni più vecchie.
«Sinceramente, penso che vivere in quelle città vi faccia male alla salute», fece Cassie con aria di rimprovero. «A sentirvi, mi pare che vi faccia diventare tutte fissate con la linea. Quassù, a queste cose, non ci fa caso nessuno».
«Perché no?», chiese Anouk. «Che c’è di male a prendersi cura di sé?»
«Ma è proprio quello il punto. Questo non è prendersi cura di sé, è rifiutare se stesse. Mi sembra che vi costringiate a morire di fame, per raggiungere un ridicolo peso piuma che i vostri corpi non possono tollerare. Dovreste rilassarvi e... godervi le cupcake», sospirò dando un ultimo morso.
«Questa cosa di te è veramente terribile», ringhiò Suzy. «Tu rimani magra senza doverci neanche pensare. L’unica cosa che mi consola è che Anouk e Kelly invece soffrono terribilmente per evitare di ingrassare».
«Non soffro, io», fece Anouk, piccata e un po’ risentita che le fosse stato attribuito un sentimento così poco elegante.
«Ah, no? E allora perché ogni volta che ti vedo sei sempre più magra?»
«Sono una parigina, chérie», disse alzando le spalle, come se quello spiegasse tutto. «È nel mio DNA».
«Mmm, la solita solfa».
«Che ti metti stasera?», chiese Anouk a Cassie, ancora intenta a sbocconcellare la torta. «Spero che tu abbia dilapidato il patrimonio di famiglia per comprarti qualcosa di fantastico».
Cassie scosse la testa, consapevole della delusione che stava causando. «Temo di no. La prossima settimana inizia la stagione della caccia e ultimamente ho passato il tempo rinchiusa nelle cucine, cercando di portarmi avanti con il lavoro. E poi quest’estate abbiamo avuto una produzione eccezionale di susine e sono stata impegnata a cercare di raccoglierle tutte per farci le conserve».
Anouk lasciò cadere la mano, disgustata. «Hai rinunciato a un vestito nuovo per delle susine?»
«Non rimandare a domani la marmellata che potresti fare oggi, eh?», brontolò Suzy, alzando gli occhi al cielo.
Cassie fece spallucce. «È più di un mese che non riesco a uscire dalla tenuta», disse, mentre si alzava e si dirigeva verso il guardaroba. «In ogni caso, a Gil è sempre piaciuto questo vestito di velluto nero che ho comprato qualche anno fa per capodanno. L’avrò messo sì e no tre o quattro volte». Se lo appoggiò sopra: era un abito al ginocchio, senza spalline, con una rosa di velluto in mezzo. «È pur sempre di Laura Ashley».
«Laura...», le fece eco Anouk con le labbra, girandosi inorridita verso Suzy.
«Sì, lo so che a vederlo sulla gruccia non sembra un granché. Ma devo dire che quando lo indosso...». Si accorse dell’espressione scettica di Suzy. «Facciamo così: me lo provo, così vedrete che non è poi così male». Mentre si stava togliendo la vestaglia, la porta si spalancò di colpo.
In una sola occhiata, Kelly inquadrò Cassie col suo reggiseno Playtex che una volta doveva essere stato bianco e la culotte tutta cadente, e rimase a bocca aperta. «Oh mio Dio! È peggio di quanto pensassi».
Cassie cacciò un urletto e corse verso Kelly, raggiante, avvolgendola in un abbraccio caloroso.
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