martedì 6 marzo 2012

La voce invisibile del vento

AUTORE: Clara Sánchez
GENERE: Romanzo

TRAMA:
Spagna, località di Las Marinas. La luce si è ritirata verso qualche luogo nel cielo. Il buio della notte avvolge le viuzze del paese e il mare è nero come la pece. Julia ha perso la strada di casa: è circondata dal silenzio e sente solo la voce del vento che soffia dal mare, e profuma di sale e di fiori. Non ricorda cosa sia successo: era uscita a prendere il latte per suo figlio, ma sulla strada del ritorno all'improvviso si è ritrovata in macchina senza soldi, documenti e cellulare. In pochi minuti quella che doveva essere una vacanza da sogno si è trasformata in un incubo. Per le strade non c'è nessuno, le case sulla spiaggia sembrano tutte uguali e Julia non riesce a ritrovare l'appartamento nel quale l'attendono il marito Felix e il figlio di pochi mesi. Prova a contattarli da un telefono pubblico, ma la linea è sempre occupata. Tutto, intorno a lei, è così familiare eppure così stranamente irreale. Tra le vie oscure e labirintiche c'è solo una luce, quella di un locale notturno. A Julia non resta altra scelta che raggiungerlo, nella speranza di trovare qualcuno che l'aiuti. Qui, quasi ad aspettarla, c'è un uomo, un tipo affascinante, con la barba incolta e l'accento dell'Est Europa, che sembra sapere tante, troppe cose su di lei. Si chiama Marcus: Julia ha la sensazione di averlo già incontrato da qualche parte. Fidarsi di lui è facile. Eppure Marcus non è quello che sembra e nasconde qualcosa.


INCIPIT:
PRIMO GIORNO

JULIA

Uscirono da Madrid alle quattro del pomeriggio prendendo la a3 in direzione est. Julia aveva trascorso la mattinata a fare le valigie, un’operazione che adesso, con Tito, era diventata straordinariamente complicata. Da quando era nato, sei mesi prima, ogni passo fuori di casa implicava portarsi dietro mille cianfrusaglie. E sembrava che il mondo si sbriciolasse se ne mancava una. Pannolini, biberon, gocce per le orecchie, ombrellino, cappellino per il sole. Le cose più necessarie andavano in una grande borsa marrone trapuntata con una fantasia a orsetti blu, che di solito per la strada Julia teneva appesa alla maniglia del passeggino. I vestiti di Félix e i suoi li aveva infilati alla rinfusa nella Samsonite verde aperta sul letto sin dal mattino presto. Quando finalmente l’aveva chiusa, era distrutta a furia di andare su e giù per l’appartamento. Aveva chiuso anche gli armadi. Quanto bisognava faticare per concedersi un bagnetto al mare e stendersi un po’ al sole! Avrebbe cambiato Tito subito prima di mettersi in viaggio e ne avrebbe approfittato per buttare l’ultimo pannolino sporco nei bidoni dell’immondizia del palazzo. Prima di dimenticarsene, aveva controllato la manopola del gas e staccato il computer e il frigorifero. Che altro? Sicuramente c’era ancora qualcosa. Ma non le rimaneva più spazio in testa per nessun altro dettaglio. Se si pensasse a fondo a quello che ci si lascia alle spalle, non si finirebbe mai.
Con le uova rimaste dopo aver pulito il frigorifero aveva preparato due panini con la tortilla, uno per sé e l’altro per Félix. D’estate lui lavorava senza fare la pausa pranzo, perciò finiva alle tre del pomeriggio.
Alle tre e mezzo arrivava a casa e prendeva Tito, in modo che Julia potesse andare a lavorare. Almeno in teoria, visto che un giorno sì e l’altro no alla com- pagnia di assicurazioni si verificava qualche imprevisto, e allora del bimbo si occupava una vicina che aveva due figlie, di otto e dieci anni, che andavano a controllarlo in continuazione.
Julia lavorava come responsabile dei camerieri al bar-caffet- teria dell’hotel Plaza ed era riuscita a ottenere il turno pomeridiano finché Tito non avesse iniziato ad andare all’asilo nido. Dopo essersi buttata sul divano completamente esausta con il panino in mano, si era guardata lentamente attorno finché, senza che potesse farci niente, le si erano chiusi gli occhi.
Dopo tre ore di viaggio si fermarono in un autogrill pieno di passeggeri di autobus di linea. Fu davvero un’impresa riuscire a prendere un caffè tra gli spintoni e la folla che si accalcava, ma almeno Félix si rimise in forze mangiando il panino e ne approfittarono per comprare una bottiglia di acqua minerale e una di vino, oltre che delle empanadas al tonno per cena. E, magicamente, dopo cinque ore di viaggio, a mano a mano che si avvicinavano alla costa, l’odore dell’aria cominciò a cambiare, portato dal mare a ondate sempre più umide e salmastre, e poi iniziarono a spuntare dappertutto oleandri, buganvillee e palme.
Riuscirono a raggiungere Las Marinas prima che facesse buio. Julia aveva chiesto a Félix di guidare per tutto il tragitto in modo da riposare un po’. La verità era che dalla nascita del bambino, e anche prima, durante la gravidanza, si sentiva sempre stanca. Beveva molto caffè e prendeva anche un mucchio di vitamine, nella speranza che prima o poi le facessero effetto. Per controllare meglio Tito, si era seduta dietro accanto a lui e ogni tanto accarezzava lo scialle che lo proteggeva dall’aria condizionata. A doverlo spiegare, avrebbe detto che le dava sicurezza toccare suo figlio, mentre il sonno la vinceva di nuovo.
Il paesino assomigliava agli altri lungo la costa. C’erano un castello, diversi grandi supermercati, un porto con pescherecci e piccole barche da turismo e un grande traghetto che portava a Ibiza. Julia scoprì che nella strada principale c’erano anche una fantastica gelateria con un enorme cono sulla porta e un mercatino dell’usato. Fu proprio l’ingorgo dovuto al mercatino che li costrinse a fare molti giri e ci misero un bel po’ a imboccare la strada del porto, che finalmente li avrebbe condotti alla spiaggia e al loro appartamento.
Lo aveva prenotato Félix su Internet. Si trattava di un grande complesso residenziale con piscina situato in seconda o terza fila rispetto alla spiaggia, con un’incantevole architettura tradizionale mediterranea, secondo la descrizione dell’agenzia immobiliare. In genere quelle case appartenevano a tedeschi o inglesi che le affittavano d’estate tramite agenzia e le tenevano per sé tutto il resto dell’anno, durante la bassa stagione. I proprietari del loro appartamento erano inglesi e si chiamavano Tom e Margaret Sherwood. Quello che attraeva maggiormente Julia era poter andare a piedi in spiaggia senza la complicazione dell’auto.
Più si avvicinavano, più il suo desiderio di giungere a destinazione e sistemarsi aumentava, mentre Madrid e l’appartamento chiuso erano ormai ben più lontani di quanto si sarebbe immaginata solo qualche ora prima. Magari si potesse lasciare tutto alle spalle mettendoci qualche centinaio di chilometri di mezzo, pensò un po’ più sveglia, appoggiando la testa al finestrino.
Passarono davanti al Club Nautico e al commissariato di polizia, al cui ingresso stazionava un gruppo quasi immobile di africani. La luce in cielo si stava ritirando chissà dove. Sul lungomare si succedevano una quantità di negozietti e tavolini all’aperto, e doveva essere per questo che si era creata una coda preoccupante.
Rimasero fermi per una decina di minuti, poi Félix diede un colpo sul volante in segno di protesta. «Hai fame?» chiese guardando i tavolini con l’aria di chi non si sente arrivato a destinazione finché non ha preso possesso dell’appartamento. Se Félix aveva un pregio, era che di solito non si lasciava trasportare dal nervosismo, al punto che a volte Julia dubitava che gli scorresse sangue nelle vene.



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