lunedì 19 marzo 2012

Fai bei sogni

AUTORE: Massimo Gramellini
GENERE: Romanzo

TRAMA:
"Fai bei sogni" è la storia di un segreto celato in una busta per quarant'anni. La storia di un bambino, e poi di un adulto, che imparerà ad affrontare il dolore più grande, la perdita della mamma, e il mostro più insidioso: il timore di vivere. "Fai bei sogni" è dedicato a quelli che nella vita hanno perso qualcosa. Un amore, un lavoro, un tesoro. E rifiutandosi di accettare la realtà, finiscono per smarrire se stessi. Come il protagonista di questo romanzo. Uno che cammina sulle punte dei piedi e a testa bassa perché il cielo lo spaventa, e anche la terra.

INCIPIT:

Come ogni anno, l’ultimo dell’anno sono passato a prendere Madrina per accompagnarla dalla mamma. Madrina e` un legno antico ben conservato. Vive da sola in una casa piena di luce, dove legge libri gialli e chiacchiera con le fotografie incorniciate di suo marito. Ogni tanto cambia mensola e parla con la foto della mamma, principalmente di me. Suppongo le taccia le informazioni piu` scabrose. Che ho avuto due mogli, sia pure una alla volta. E che non ho poi fatto l’avvocato.
Mentre la aiutavo a infilarsi il cappotto, e` stata lei a portare il discorso sul romanzo che le avevo regalato a Natale.
« L’ho finito stanotte... »
« Ti e` piaciuto, anche se non e` un giallo? »
« Certo, lo hai scritto tu. »
« E le pagine che riguardano la mamma? »
« Appunto di quelle volevo parlarti. »
« Sono le uniche autobiografiche. Ci ho messo un
pezzo della mia storia l`ı dentro. »
« Sei sicuro che sia la tua storia? »
« Perche ́... non lo e`? »
« Non e` andata proprio cos`ı... Caro il mio ragazzo, avrei una cosa da darti. »

L’ho vista armeggiare con chiavi da gnomo intorno ai cassetti del como`. Fra le sue belle mani piene di nodi e` spuntata una busta marrone.
Me l’ha consegnata con un tremolio nella voce.
« Dopo quarant’anni sarebbe ora che qualcuno ti dicesse la verita`. »

QUARANT’ANNI PRIMA

Quarant’anni prima, l’ultimo dell’anno mi ero sve- gliato cos`ı presto che credevo di sognare ancora. Ricordo l’odore della mamma nella mia stanza, la sua vestaglia ai piedi del letto. Che ci faceva lì?
E poi: la neve sul davanzale, le luci accese in tutta la casa, un rumore di passi strascicati e quel guaito di creatura ferita.
« Nooooo! »
Infilo le pantofole nei piedi sbagliati, ma non c’e` tempo per rimediare. La porta sta gia` cigolando sotto la spinta delle mie mani, finche ́ lo vedo in mezzo al corridoio, accanto all’albero di Natale.
Papa`.
La quercia della mia infanzia, piegato come un salice da una forza invisibile e sorretto per le ascelle da due sconosciuti.
Indossava la giacca da camera color porpora che gli aveva regalato la mamma. Quella con un cordone delle tende al posto della cintura. Si muoveva a scatti, scalciando e contorcendosi.
Appena si accorse della mia presenza, lo sentii mormorare: « E` mio figlio... Per favore, portatelo dai vicini ».
Abbandono` la testa all’indietro e urto` l’albero di Natale. Un angelo con le ali di vetro perse l’equilibrio e precipito` al tappeto.
Gli sconosciuti erano muti ma gentili e mi parcheggiarono sul lato opposto del pianerottolo, da una coppia di pensionati.
Tiglio e Palmira.
Tiglio affrontava la vita dietro la corazza immutabile del suo pigiama a righe e con il conforto di una ostinata sordita`. Comunicava soltanto per iscritto, ma quella mattina si rifiutava di rispondere alle domande che gli avevo scarabocchiato in stampatello sul margine bianco del giornale.
DOV’E` LA MAMMA?
HANNO RAPINATO P A P A` ?
Dei banditi dovevano essere entrati in casa durante la notte... E se fossero stati i due che lo tenevano per le ascelle?
Apparve Palmira con le borse della spesa.
« Papa` ha avuto un po’ di mal di testa, bambìn. Ma adesso sta bene. Quei signori erano i medici che lo hanno visitato. »
« Come mai non avevano il camice? »
« Lo mettono solo in ospedale. »
« E come mai erano due? »
«I medici del pronto soccorso sono sempre in due. »
« Ah, giusto. Così se uno si ammala di colpo, l’altro lo puo` guarire. Dov’e` la mamma? »
« Papa` l’ha accompagnata a fare una commissione. »
« E quando torna? »
« Presto, vedrai. La vuoi una cioccolata calda? » In mancanza della mamma mi accontentai della
cioccolata.
Qualche ora dopo venni preso in custodia dai migliori amici dei miei.
Giorgio e Ginetta.
Non credo di averli mai considerati separatamente. Mamma e papa` si erano conosciuti al loro matrimonio, una circostanza che non smetteva di stimolare gli ingranaggi del mio cervellino.
« Mamma, ascolta: se Giorgio e Ginetta si fossero dimenticati di portarti alla festa, saresti stata sempre tu la mia mamma oppure un’altra invitata? »
Avevo una lingua mai esausta, nonostante fosse piena di tagli e di toppe come il grembiule di un artigiano.
« E` un miracolo che con un attrezzo simile suo figlio possa parlare » aveva spiegato il pediatra alla mamma.
« Adesso di miracolo ne servirebbe un altro, dottore: riuscire ogni tanto a farlo stare zitto » aveva risposto lei. « Con la parlantina che si ritrova mi diventera` un avvocato. »
Non ero d’accordo. Io volevo smettere di parlare e incominciare a scrivere. Quando mi convincevo che qualche adulto aveva commesso un’ingiustizia nei miei confronti, gli agitavo una biro sotto il mento: «Da grande raccontero` tutto in un libro che si intitolera` Io bambino ».
Il titolo era migliorabile, ma il libro sarebbe stato una bomba.
La verita` e` che avrei preferito essere un pittore. A sei anni avevo gia` dipinto il mio ultimo capolavoro: La mamma mangia un grappolo d’uva. Il grappolo era alto il doppio della mamma, gli acini sembravano le palle dell’albero di Natale e la faccia della mamma era identica a un acino.
Lei lo aveva appeso in cucina e lo mostrava con orgoglio ai parenti di passaggio. Dalle loro facce perplesse avevo ricevuto il primo responso esistenziale: la pittura non sarebbe mai stata il mio talento. Il mondo che avevo dentro avrei dovuto cercare di disegnarlo con le parole.
A casa di Giorgio e Ginetta ando` in scena il cenone piu` triste della storia. Malgrado i miei tentativi di ravvivare la conversazione, io e il figlio tredicenne venimmo spediti nei letti a castello alle nove di sera, dopo una pastasciutta e una bistecchina, entrambe al burro.

Non ci fu verso di ottenere una fetta di panettone e una spiegazione decente. Mamma e papa` erano andati a fare una commissione, la stessa della mat- tina o forse un’altra, ma altrettanto misteriosa. E noi dovevamo filare subito a nanna.
Ricordo il respiro regolare del mio compagno di clausura sopra di me. E i fuochi di mezzanotte che smacchiavano il buio della stanza attraverso le serrande non perfettamente abbassate.
Rintanato sotto le coperte, gli occhi accesi e la testa vorticante come una giostra incantata, continua- vo a chiedermi cosa avessi combinato di tanto tremendo durante le vacanze di Natale per meritare un castigo simile.
Avevo detto due bugie, risposto male una volta alla mamma e tirato un calcio nel sedere a Riccardo, il bambino della Juve che abitava al secondo piano.
Non mi sembravano peccati gravi, specie l’ultimo.

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