lunedì 2 gennaio 2012

Oggi Come Allora

AUTORE: Diane Keaton
GENERE: Autobiografia

TRAMA:
"Alla mamma piacevano le massime, le citazioni, gli slogan. Sulla parete della cucina c'erano sempre attaccati dei bigliettini. Ad esempio la parola PENSA. Ho trovato PENSA fissato con una puntina da disegno alla bacheca nel suo studio. L'ho visto appiccicato con lo scotch a una scatola di matite su cui aveva fatto un collage. Ho perfino trovato un libretto intitolato PENSA sul suo comodino. Alla mamma piaceva PENSARE."

Inizia così l'indimenticabile mémoir che Diane Keaton, attrice nota in tutto il mondo, musa ineguagliabile di Woody Allen e brillante interprete di film di grande successo, dedica a se stessa e a sua madre, l'adorabile e complicata Dorothy, scomparsa di recente. Per raccontare la propria storia, infatti, Diane si è resa conto che doveva raccontare anche quella di sua madre, rivelando come il loro strettissimo legame sia stato determinante per i destini di entrambe.
 Attingendo alle migliaia di pagine di diari che Dorothy aveva tenuto per gran parte della sua vita - istantanee di una donna concentrata sul suo ruolo di moglie e madre, ma costantemente pervasa da una grande energia creativa e intellettuale - Diane Keaton traccia non solo un ritratto personalissimo di sé, ma anche di quattro generazioni della sua famiglia, chiaro esempio del sogno americano. Più che l'autobiografia di una star, Oggi come allora è la storia toccante e originale, scritta con stile e grazia, di un'attrice leggendaria, vera icona femminile, e il viaggio esistenziale di una donna che si interroga sul senso della vita e del successo, trovando la risposta nel valore della famiglia e degli affetti.
(Fonte: LibriMondadori.it)

INCIPIT:
Pensa

Alla mamma piacevano le massime, le citazioni, gli slogan. Sulla parete della cucina c’erano sempre attaccati dei bigliettini. Ad esempio la parola pensa. Ho trovato pensa fissato con una puntina da disegno alla bacheca del suo studio. L’ho visto appiccicato con lo scotch a una scatola di matite su cui aveva fatto un collage. Ho perfino trovato un libretto intitolato pensa sul suo comodino. Alla mamma piaceva pensare. In un taccuino ha scritto: “sto leggendo un libro di Tom Robbins, Il nuovo sesso: cowgirl. Il passaggio sul matrimonio è in sintonia con le istanze femministe. Lo trascrivo per poterci PENSARE in futuro”. Continuava con la citazione da Robbins: “Per tante povere sceme che hanno subito il lavaggio del cervello il matrimonio è l’esperienza suprema. Per gli uomini, il matrimonio è un mezzo per ottimizzare la logistica. L’uomo fa in modo di avere cibo, letto, lavanderia, televisione… progenie e comodità tutto sotto lo stesso tetto… Ma per una donna il matrimonio rappresenta la resa. La donna smette di lottare… e da quel momento lascia ogni attività davvero interessante e significativa al marito, che ha promesso di ‘avere cura di lei’… Le donne vivono più a lungo degli uomini perché in realtà non hanno veramente vissuto”. Alla mamma piaceva pensare alla vita, e soprattutto all’esperienza di essere una donna. E le piaceva anche scrivere di questo.

A metà degli anni Settanta, durante una visita ai miei, mentre stampavo nella camera oscura di mia madre delle fotografie che avevo fatto ad Atlantic City, ho trovato una cosa che non avevo mai visto prima. Era una sorta di… non saprei, una specie di album. Sulla copertina c’era un collage di foto di famiglia, fatto da lei, con la scritta: “È il viaggio che conta non la destinazione”. Mi sono messa a sfogliarlo. Anche se conteneva parecchi collage fatti con fotografie e ritagli di giornale, c’erano moltissime pagine scritte.

Giornata molto proficua all’Hunter’s Bookstore. Abbiamo riordinato il settore Arte e abbiamo scoperto un sacco di libri interessanti che erano nascosti. Mi hanno assunta da due settimane. Mi pagano tre dollari e trentacinque centesimi all’ora. Oggi mi hanno dato ottantanove dollari in tutto.

Non era uno dei tipici album della mamma, con i soliti tovagliolini della Clifton’s Cafeteria, vecchie fotografie in bianco e nero e le mie poco eccitanti pagelle. Quello era un diario.

Un’annotazione del 2 agosto 1976 diceva:
“ATTENZIONE A QUESTA PAGINA. Parlo a te, possibile lettore del futuro, perché ti ci vorrà del coraggio. Ho intenzione di dire proprio quello che penso. Sono arrabbiata. Bersagio: Jack – insulti, tutti quelli che lui mi ha rivolto – e che NON ho dimenticato, il che costituisce di sicuro un problema – ‘Razza di lurida bastarda’ – tutto detto – tutto pensato veramente. Dio, chi diavolo si crede di essere?”.

Per me era più che sufficiente. Era troppo crudo, troppo, davvero. Non volevo sapere nulla di un aspetto della vita dei miei genitori che avrebbe potuto distruggere la mia percezione del loro amore. Lo posai, uscii dalla camera oscura e non aprii neanche uno degli altri suoi ottantacinque diari fino a quando mia madre morì, circa trent’anni dopo. Ma naturalmente, per quanto cercassi di negare la loro presenza, non potevo fare a meno di vederli in fila negli scaffali, o impilati sotto il telefono, o addirittura lì a fissarmi da un cassetto della cucina. Una volta mi misi a sfogliare un libro di mia madre che era sul tavolino del salotto. One Hundred Flowers di Georgia O’Keeffe, e sotto ci trovai un diario intitolato: Chi lo dice che non hai avuto una chance? Era come una specie di cospirazione, “Prendici, Diane. Prendici!. Scordatevelo. Non esisteva propri che ripetessi quell’esperienza. Ma ero rimasta colpita dalla tenacia della mamma. Come faceva a continuare a scrivere senza un minimo di pubblico, nemmeno i suoi familiari? Semplicemente, lo faceva.

Scriveva che le sarebbe piaciuto riprendere a studiare a quarant’anni. Scriveva chiedendosi come sarebbe stato fare l’insegnante. Scriveva a proposito di tutti i gatti randagi che salvava. Quando sua sorella Marti fu colpita da un cancro alla pelle e prese quasi tutto il naso, scrisse anche di quello. Quando papà si ammalò nel 1990, il suo diario si infiammò per l’ingiustizia di quel tumore che gli attaccava il cervello. Il racconto della sua morte si è rivelato uno dei più bei resoconti di mia madre. Era come se prendersi cura di Jack glielo facesse amare in un modo che la aiutava a diventare la persona che aveva sempre desiderato essere.

Oggi ho cercato di fare mangiare Jack. Ma non riusciva. Dopo un po’, mi sono tolta gli occhiali. Ho avvicinato la testa alla sua e gli ho detto, gli ho sussurrato, che mi mancava. Mi sono messa a piangere. Non volevo che mi vedesse, così ho girato la testa. E Jack, con quel po’ di forza che gli restava in quel suo dannato corpo, ha preso il fazzoletto che avevo in tasca e lentamente, come ormai faceva tutto, molto lentamente, mi ha guardato con quegli occhi azzurri così penetranti e mi ha asciugato le lacrime. “Ce la caveremo, Dorothy”.
Lui no. Alla fine la mamma si prese cura di papà proprio come si era presa cura di Randy, Robin, Dorrie e me, per tutta la nostra vita. Ma chi c’era accanto a lei quando scrisse con mano tremante: “Giugno 1993. Oggi è il giorno in cui ho saputo che ho un principio di Alzheimer. Che paura”. Iniziò così una battaglia contro la perdita della memoria che sarebbe durata quindici anni.

Continuò a scrivere. Quando non riuscì più a scrivere paragrafi, scriveva semplici frasi, come “Ci feriremmo di meno se ci toccassimo di più?” e “Onora te stesso”, e brevi domande o affermazioni come “Svelta. Che giorno è oggi?” o stranezze tipo: “La mia testa sta girando su se stessa”. Quando non riuscì più a scrivere frasi, scriveva parole. AFFITTO. CHIAMATA. FIORI. AUTO. E anche la sua parola preferita, PENSA. Quando non le rimasero più parole, scrisse numeri, finchè non fu più in grado di scrivere niente.

Dorothy Deanne Keaton era nata a Winfield, Kansas, nel 1921. I suoi genitori, Beulah e Roy, si spostarono in California quando lei non aveva ancora tre anni. Erano emigrati in terre più prospere, per inseguire il grande sogno. E così finirono sulle colline di Pasadena. La mamma durante le scuole superiori suonava il piano e cantava in un trio che si chiamava Two Dots and a Dash. Aveva sedici anni quando il padre se ne andò, lasciando Beulah e le sue tre figlie a cavarsela da sole. L’ultima parte degli anni Trenta fu un periodo difficile per le Keaton. Beulah, che non aveva lavorato un solo giorno in vita sua, dovette cercarsi un impiego. Dorothy rinunciò al sogno di andare al college per dare una mano, finchè finalmente Beulah trovò lavoro come bidella.

Ho una fotografia di Dorothy sedicenne accanto a suo padre, Roy Keaton. Perché ha lasciato la sua figlia preferita, quella che gli assomigliava tanto, perché? Come ha potuto andarsene sapendo che una parte del cuore di Dorothy sarebbe rimasta per sempre spezzata?

Tutto cambiò quando Dorothy incontrò Jack Hall su un campo da basket al Losa Angeles Pacific College, a Highland Park. Alla mamma piaceva raccontare di come quel bel ragazzo con i capelli neri e gli occhi azzurri che aveva un appuntamento con sua sorella Martha non avesse avuto occhi che per lei. Rideva e diceva: “È stato amore a prima vista”. E dev’essere stato proprio così, perché non molto tempo dopo scapparono insieme all’hotel Stardust di Las Vegas.

La mamma non mi ha mai parlato dei suoi sogni, dei suoi progetti. Ma qualcosa si poteva intuire. Era presidente del consiglio di istituto della nostra scuola, e anceh dell’Arroyo Vista Ladies Club. Era insegnante alla scuola domenicale della Chiesa Metodista. Partecipava a tutti i concorsi pubblicizzati sul retro delle scatole di cereali. Le piacevano moltissimo i quiz e i giochi televisivi. Il nostro preferito era “Queen for a Day”, presentato da Jack Bailey, che apriva ogni puntata, cinque giorni alla settimana, con la frase: “E TU… vorresti essere… REGINA… PER… UN… GIORNO?”. Il gioco funzionava così: Bailey intervistava quattro donne, e quella che era messa peggio – secondo l’applausometro – era incoronata “regina per un giorno”. Poi partiva “Pump and Circumstance” e Bailey avvolgeva la vincitrice in un mantello di un velluto rosso bordato di zibellino, le posava una luccicante corona sulla testa, e per finire le porgeva quattro dozzine di rose dal gambo lunghissimo. La mamma e zia Martha compilarono la richiesta di partecipazione più di una volta, sciorinando le loro tristi storie. Alla mamma riuscì quasi il colpaccio quando scrisse: “Mio marito ha bisogno di un polmone”. Quando le chieserò maggiori dettagli, disse la verità… Be’, più o meno. Jack Hall, un appassionato sub, aveva bisogno di andare maggiormente in profondità per procurare più cibo per la sua famiglia. La mamma fu scartata.


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