AUTORE: Andrea Camilleri
GENERE: Letteratura Italiana
TRAMA:
Due filosofi in lotta per il Nobel, un partigiano tradito da un topolino, un ladro gentiluomo, un magistrato tratto in inganno dal giallo che sta leggendo, un monsignore alle prese col più impietoso dei lapsus, un bimbo che rischia di essere ucciso e un altro capace di sconvolgere un’intera comunità con le sue idee eretiche... E ancora: una ragazza che russa rumorosamente, un’altra alle prese con il tacco spezzato della sua scarpa, una segretaria troppo zelante, una moglie ricchissima e tante, tante donne che amano – tutte – con passione, a volte con perfidia, più spesso con generosità. Ecco i personaggi che, insieme a molti altri, popolano le pagine di questo libro: un romanzo corale sui desideri e i vizi, gli slanci e le bassezze dell’umanità e insieme un perfetto marchingegno a orologeria. Più che perfetto: diabolico. 33 racconti di 3 pagine ciascuno: 333 e non 666, perché questo, come tutti sanno, è il numero della Bestia, e non si discute sul fatto che mezzo diavolo sia meglio di uno intero.
INCIPIT:
I due più grandi filosofi contemporanei, come tali universalmente riconosciuti, stimati, onorati e ognuno con larga schiera di seguaci fieramente avversi l’un l’altro, sono coetanei ma di diversa nazionalità e in vita loro non si sono mai conosciuti di persona. Uno si chiama Jean-Paul Dassin: francesce, nato in una ricchissima famiglia dell’alta borghesia industriale, ha studiato nelle più esclusive scuole del suo paese e si è concesso il lusso di seguire le lezioni dei maestri che più l’interessavano in europa e in America. Ottimo parlatore, brillante conversatore, uomo di mondo, Dassin è l’idolo dei salotti intellettuali, quotidiani e riviste si disputano i suoi articoli così come le tv le sue apparizioni, e le lezioni alla Sorbona assomigliano spesso a una prima teatrale di gala. I suoi tesi filosofici più noti, “ La coscienza felice” e “Il tempo nello spazio dell’Essere”, sono diventati degli autentici bestseller. Non averli nella propria libreria, anche se nemmeno sfogliati, sarebbe segno di mancanza di cultura. Nel suo castello in Normandia organizza spesso a proprie spese convegni filosofici internazionali ad altissimo livello.
Il secondo è Dieter Maltz, figlio di poveri contadini della Bassa Baviera che non avevano denaro sufficiente nemmeno per farlo andare alle scuole elementari. Gli venne in soccorso uno zio calzolaio, ma appena arrivato alle scuole superiori Dieter divenne autonomo, vuoi perchè cominciò a razziare tutte le borse di studio a portata di mano vuoi perchè non disdegnò di arrotondare facendo lavoretti extra come il cameriere, il guardamacchine, il lavavetri. All’università l’incontro con la filosofia du per Dieter come un colpo di fulmine. La sa tesi di laurea, un’analisi estremamente critica della nozione di tempo in Heidegger, gli valse la pubblicazione. Schivo, apaprtato, scorbutico, mai voluto apparire in tv, mai un articolo per un giornale, fotografato raramente di sfuggita e a sua insaputa, Dieter Maltz è stato raggiunto lo stesso dalla fama soprattutto per la sua opera capitale, “Crisi e apologia della ragione”. Malgrado la notorietà, ha continuato a vivere nella povera casa contadina dei genitori, appena appena riaggiustata. Non hai mai partecipato, anche perchè mai invitato, ai convegni nel castello di Dassin.
Così come le loro vite, anche le loro concezioni filosofiche sono diametralmente opposte, però mai i due si sono apertamenti scontrati.
Si, qualche stilettata polemica di Dassin verso Maltz è apparsa in alcune note a margine del suo ultimo libro, “La Calma e il Furore”, e lo stesso ha fatto Maltz nel volume “La Porta e l’Ariete”. Niente di più. I due sembrano volersi ignorare.
Scrivono in modo abissalmente diverso. Tanto dassin è lineare, luminoso, brillante, spesso ironico, quanto Maltz è tortuoso, oscuro, massiccio, privo d’ogni traccia d’ironia. Il pensiero di Dassin arriva dritto come una freccia, quello di Maltz fa un percorso sinuoso, non facilmente decrittabile.
Dassin si è anche divertito a scrivere tre romanzi che hanno avuto un successo mondiale, soprattutto il primo, intitolato “Il Vomito”.
Un giorno comincia a correre la voce che l’Accademia di Svezia sarebbe orientata ad assegnare il Nobel per la letteratura a Dassin per la sua produzione letteraria. Visto che il Nobel non ha unapposita sezione per la filosofia, si tratta di un chiaro escamotage per dargli comunque il premio e riannodare certi rapporti politici con la Francia che nel ultimi tempi hanno incontrato manifeste difficoltà.
L’atteggiamento dei letterati francesi non è entusiasta, è quello di far buon viso a cattivo gioco. La più nota rivista culturale fa un titolo che parafrasa il detto italiano “ a caval donato non si guarda in bocca”. Il venerato decano dei critici letterati scrive però un articolo al vetriolo che demolisce i tre romanzi di Dassin e termina con questa frase: “ Che ne pensa dell’eventuale Nobel per la letteratura a Jean Paul Dassin il grande Dieter Maltz? Sono del parere che, nel suo eremo, se la stia ridendo”.
Nessun commento:
Posta un commento