giovedì 5 gennaio 2012

È Ora Di Dormire

AUTORE: David Baddiel
GENERE: Letteratura Internazionale

TRAMA:
Gabriel Jacoby soffre d'insonnia. Ogni cosa intorno a lui, dalla sua impressionante collezione di macchinette da caffè al suo strampalato compagno di appartamento, sta andando a pezzi. Ma a lui non importa: è troppo impegnato a fantasticare sul suo folle amore per la donna che è felicemente sposata con suo fratello. Ecco perché ha deciso di sprecare così le sue giornate. Perché sa che non potrà mai essere felice. Non c'è nessuna possibilità quando si è innamorati della moglie del proprio fratello... A meno che questa non abbia una sorella che le somiglia...

INCIPIT:
2.17. Non devo alzarmi fino a mezzogiorno e mezzo. Quindi, vediamo: due ore di scatti nervosi tra le lenzuola (4.17), poi forse tre ore di coma totale, se sono fortunato (7.17), seguite da un’ora e mezzo di veglia irremovibile (8.47), e poi il sontuoso mattino, quando finalmente riposo alla grande, sognando e lasciandomi cullare come se per tutto ciò avessi un talento naturale. Fanno… sei ore e cinquantatrè minuti di sonno in totale. Non sono proprio le mitiche otto ore, ma non è male, tutto sommato.
È questo il mio problema. E devo dire che lo coltivo con molta cura. A volte, alle feste, mi presento così: piacere, Gabriel Jacoby, Insonne. Ma del resto tutti abbiamo bisogno dei nostri segni particolari negativi. Non sto parlando di autodisapprovazione – quella è solo un nodo nella trama dell’inettitudine – ma di una vera e propria regolazione difettosa, un grande fottuto difetto, un buco nero terapeutico attraverso il quale possiamo presentarci con il sottoteso Sono interessante, pericoloso e romantico. Comunque questa, alla fine della giornata, è davvero l’ultima delle preoccupazioni.
2.19 in punto. Chi soffre d’insonnia è inflessibile per quanto riguarda il tempo, soprattutto di notte, perché ogni minuto è un altro granello di sabbia che passa nella clessidra e nella tua testa verso il giorno successivo. Ma le 2 e 19 non sono niente. Ah no, le 2 e 19 sono ancora la parte migliore della giornata, c’è ancora tanto tempo davanti. Un insonne di classe mondiale aspetta a definire brutta la sua notte almeno fino alle cinque e mezzo del mattino, e solo se è stata accompagnata da ansia, dolori articolari e duecento puntatine al bagno.
Dormo, o piuttosto sto sdraiato in fredda iperattività cerebrale, con una mascherina per gli occhi e i tappi per le orecchie, una sorta di riserva di privazione sensoriale, patetica ma portatile. Una vecchia mascherina presa in aereo con scritto sopra Virgin: più che una marca un marchio, uno scherzo di Dio che mi stampa sugli occhi, come se fosse un messaggio ricattatorio, il nome della coscienza che desidero tanto disperatamente. Lego questa mascherina sugli occhi ogni notte sempre più forte, così stretta da far male e da lasciarmi accecato da luci psichedeliche per una ventina di minuti ogni mattina. A completamento di questa chiusura stretta, faccio due nodi ai due elastici che si mettono intorno alla testa; ma l’ho fatto così spesso con questa mascherina che ora, dietro, si è formato un grumo di elastico enorme e duro, che a volte, proprio quando sono finalmente sul punto di trovare una via di uscita dall’insonnia, mi preme contro la testa e mi sveglia. Ho bisogno di una mascherina nuova, ma nei negozi non si trovano, bisogna salire su un maledetto aereo per prenderne una, e io sono anni che non vado in aereo. Ci sono delle notti, però, in cui sono così disperato che prendo in considerazione l’idea di mettere da parte i soldi del sussidio di disoccupazione e spenderli tutti in un viaggio per, che so, l’Australia, le Bermuda, le Fiji, un posto qualsiasi, pur di procurarmi un cazzo di mascherina. I tappi per le orecchie, invece – delle palline di cera, rosa come lo scroto di un coniglio, li ficco ogni notte sempre più in fondo, nella speranza, suppongo, di svenire: se i Metallica decidessero a sorpresa di fare un’esibizione esclusiva nella mia camera, non sarei in grado di sentirli, ma in compenso il rumore del sangue che mi rimbomba in testa non mi lascia dormire. Una notte i tappi mi resteranno conficcati nelle orecchie e dovrà chiamare i pompieri.
Che cosa cerco nella lenta, lentissima oscurità? Quando avevo dodici anni mi hanno tolto le tonsille, e mi ricordo ancora l’anestesista che contava alla rovescia, dieci, nove, otto, sette, sei: a sei mi sono addormentato. Ecco cosa voglio: voglio conoscere il momento in cui ci si addormenta. Stupidamente, perché quello è il centro autoreferenziale di tutta questa maledizione della mente: la luce nella mia testa, quella che mi tiene sveglio, l’ho lasciata accesa io, per non perdermi il momento in cui qualcuno viene a spegnerla. Sono un idiota con addosso una mascherina che gioca a mosca cieca con se stesso.
C’è una donna, qui. Quando sono solo, mentre conto alla rovescia nel buio, è quel che credo di desiderare di più, almeno la maggior parte delle volte. Perciò, quando la fottuta notte diventa un’enorme notte infernale che mi lacera l’anima, quando i demoni della mente escono per fare la loro abituale danza campestre delle 5.30 nella mia testa, allora mi dico: grazie a Dio c’è qualcun altro qui con me. Mi giro e… indovinta un po’? lei sta dormendo! E allora penso: Tu, brutta stronza. Te ne stai sdraiata qui, a russare stupidamente – dennnntro, fuoooori, dennnnnnntro, fuoooooooori, e ogni rantolo del tuo respiro dice: “È una cazzata questa faccenda del sonno, nessun proble…”. PORCA PUTTANA, MI STAI PIGLIANDO PER IL CULO!!
In realtà sto mentendo. Una donna, qui, c’era. Se n’è appena andata, in quella che posso solo supporre fosse una reazione offesa. La verità è che le cose non andavano molto bene. E poi sono andate anche peggio.


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