giovedì 28 aprile 2011

Il Cimitero di Praga

AUTOREUmberto Eco
GENERE: Romanzo Storico

TRAMA:
Trent'anni dopo Il nome della rosa, il nuovo attesissimo romanzo di Umberto Eco. La storia si svolge lungo il XIX secolo, tra Torino, Palermo e Parigi, troviamo una satanista isterica, un abate che muore due volte, alcuni cadaveri in una fogna parigina, un garibaldino che si chiamava Ippolito Nievo, scomparso in mare nei pressi dello Stromboli, il falso bordereau di Dreyfus per l’ambasciata tedesca, la crescita graduale di quella falsificazione nota come I protocolli dei Savi Anziani di Sion, che ispirerà a Hitler i campi di sterminio, gesuiti che tramano contro i massoni, massoni, carbonari e mazziniani che strangolano i preti con le loro stesse budella, un Garibaldi artritico dalle gambe storte, i piani dei servizi segreti piemontesi, francesi, prussiani e russi, le stragi in una Parigi della Comune dove si mangiano i topi, colpi di pugnale, orrendi e puteolenti ritrovi per criminali che tra i fumi dell’assenzio pianificano esplosioni e rivolte di piazza, barbe finte, falsi notai, testamenti mendaci, confraternite diaboliche e messe nere. 

INCIPIT:
I
l passante che in quella grigia mattina del marzo 1897 avesse attraversato a proprio rischio e pericolo place Maubert, o la Maub, come la chiamavano i malviventi (già centro di vita universitaria nel Medioevo, quando accoglieva la folla degli studenti che frequentavano la Facoltà delle Arti nel Vicus Stramineus o rue du Fouarre, e più tardi luogo dell’esecuzione capitale di apostoli del libero pensiero come Étienne Dolet), si sarebbe trovato in uno dei pochi luoghi di Parigi risparmiato dagli sventramenti del barone Haussmann, tra un groviglio di vicoli maleodoranti, tagliati in due settori dal corso della Bièvre, che laggiù ancora fuoriusciva da quelle viscere della metropoli dove da tempo era stata confinata, per gettarsi febbricitante, rantolante e verminosa nella vicinissima Senna.
Da place Maubert,ormai sfregiata dal boulevard Saint-Germain, si dipartivaancora una ragnatela di straducole come rue Maître-Albert,
rue Saint-Séverin, rue Galande, rue de la Bûcherie, rueSaint-Julien-le-Pauvre, sino a rue de la Huchette, disseminatedi sordidi hotel tenuti in genere da alvergnati, albergatori dalla leggendaria cupidigia, che domandavano un franco per la prima notte e quaranta centesimi per le seguenti (più venti soldi se si voleva anche un lenzuolo). Se poi avesse imboccato quella che sarebbe diventata rue Sauton, ma era ancora rue d’Amboise, avrebbe trovato fra un bordello travestito da birreria e una taverna dove si serviva, con vino pessimo, un desinare da due soldi (già allora assai pochi, ma quanto si potevano permettere gli studenti della Sorbona), un vicolo cieco, che all’epoca si chiamava impasse Maubert, ma prima era chiamato cul-de-sac d’Amboise, e anni prima ancora ospitava un tapis-franc (nel linguaggio della malavita, una bettola, un’osteria d’infimo rango, tenuta ordinariamente da un pregiudicato, e frequentata da forzati appena usciti dal bagno penale), ed era rimasto tristemente famoso anche perché nel XVIII secolo vi sorgeva il laboratorio di tre celebri avvelenatrici, ritrovate un giorno asfissiate dalle esalazioni delle sostanze mortali che distillavano sui loro fornelli.
A metà di quel vicolo passava del tutto inosservata la vetrina di un rigattiere che un’insegna sbiadita celebrava come Brocantage de Qualité – vetrina ormai opaca per la polvere spessa che ne lordava i vetri, i quali già poco rivelavano delle merci esposte e dell’interno, perché ciascuno di essi era un riquadro di venti centimetri per lato, tutti tenuti insieme da una intelaiatura di legno. Accanto a quella vetrina avrebbe visto una porta, sempre chiusa, e accanto al filo di una campanella un cartello che avvertiva come il proprietario fosse temporaneamente assente.
Che se, come raramente accadeva, la porta si fosse aperta, chi fosse entrato avrebbe intravisto all’incerta luce che illuminava quell’antro, disposti su pochi traballanti scaffali e alcuni tavoli ugualmente malfermi, una congerie di oggetti a prima vista appetibili, ma che a una ispezione più accurata si sarebbero rivelati del tutto inadatti a ogni onesto scambio commerciale, quand’anche fossero stati offerti a prezzi altrettanto sbrindellati.

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