domenica 12 giugno 2011

La casa del tempo sospeso

AUTORE: Mariam Petrosjan
GENERE: Romanzo di formazione (fantastico)

TRAMA:

“La Casa”. Così è chiamato l’istituto per disabili dai ragazzi che vi sono internati. Tutti hanno handicap, fisici o psichici, ed è per questo che i loro genitori li hanno portati lì. La Casa è un universo parallelo, un mondo chiuso ma non claustrofobico, con le sue leggi e i suoi codici d’onore,dove gli adulti non hanno quasi accesso, e dove i ragazzi vivono una vita ricchissima di emozioni e avventure: battaglie epiche e prove iniziatiche, viaggi e ricerche, odi distruttivi, amori e amicizie. In confronto a questa profondità e varietà il mondo di fuori, che non a caso chiamano “Esteriorità”, appare come una landa desolata da temere e rifiutare. Qui i ragazzi non hanno nomi: si chiamano Avvoltoio, Nero, Fumatore, Sfinge, e sono divisi in bande – o, meglio, in branchi: i Fagiani, i Ratti, gli Uccelli, i Cani. Tutti hanno abilità straordinarie e segrete, e magiche. E tutti, a diciott’anni, devono decidere se uscire dalla Casa o rimanervi per sempre.

INCIPIT:
Fumatore
Alcuni vantaggi delle calzature sportive
Tutto comincio` dalle scarpe da jogging rosse. Le trovai in fondo alla borsa. Borsa per la custodia degli effetti personali: cos`ı si chiama. Solo che dentro non c’e`nessun effetto personale. Una coppia di asciugamani a nido d’ape, un mazzetto di fazzoletti e biancheria sporca. Uguali per tutti. Tutte le borse, gli asciugamani, i calzini e le mutande sono identici, per non far torto a nessuno.
Le scarpe da jogging le trovai per caso, me n’ero dimenticato da un pezzo. Un vecchio regalo, non mi ricordo piu` di chi, dalla vita prece- dente. Di un bel rosso vivo, impacchettate in carta lucida, con la suola a strisce come un lecca-lecca. Strappai la confezione, accarezzai le stringhe color fuoco e svelto svelto mi cambiai le scarpe. I piedi acquistarono uno strano aspetto. Insolitamente adatto alla deambulazione. M’ero perfino dimenticato che potessero essere così.
Quello stesso giorno, dopo le lezioni, Jiinn mi chiamo` in disparte e disse che non gli piaceva il mio comportamento. Indico` le scarpe da jogging e mi ordino` di togliermele. Non era il caso di chiedere perche ́ dovessi, ma lo chiesi lo stesso.
« Attirano l’attenzione » disse. Per Jiinn la spiegazione era normale. « E con cio` ? » chiesi. « Lascia che l’attirino ». Non rispose. Si aggiusto` il cordino degli occhiali, sorrise e mosse la carrozzella. Ma la sera ricevetti un biglietto. Solo due parole: ‘Discussione scarpe’. E capii che ero fritto.
Radendomi la peluria sulle guance, mi tagliai e ruppi il bicchiere degli spazzolini da denti. Il riflesso che guardava dallo specchio appariva mortalmente spaventato, ma in realta` non avevo quasi paura. Cioe` avevo paura, ovviamente, ma nello stesso tempo non m’importava niente. Non stetti neppure a togliermi le scarpe da jogging.
11L’assemblea si svolse in classe. Scrissero sulla lavagna: ‘Discussione scarpe’. Una pagliacciata e una cosa demenziale, ma non ero in vena di ridere, perche ́ ero stanco di quei giochi, di quegli intelligentoni dei giocatori e anche di quel posto. Ero talmente stanco che avevo quasi disimparato a ridere.
Mi fecero sedere davanti alla lavagna, perche ́ tutti potessero vedere l’oggetto della discussione. A sinistra del tavolo sedeva Jiinn e succhiava la penna. A destra Balena Lunga faceva correre rumorosamente una pallina per i piccoli corridoi di un labirinto di plastica, finche ́ non lo guardarono con disapprovazione.
« Chi vuole dire la sua? » chiese Jiinn.
Molti volevano dire la loro. Quasi tutti. Per cominciare diedero la parola a Grifone. Probabilmente per levarselo di torno il prima possibile.
Si chiarì che chiunque cerchi di attirare l’attenzione e` una persona innamorata di se ́ e cattiva, capace di qualsiasi cosa e che si crede chissa` che, mentre in realta` non e` altro che una nullita`. Una cornacchia in penne di pavone. O qualcosa del genere. Grifone declamo` la favola della cornacchia. Poi la poesia dell’asino finito in un lago e annegato per la sua stessa stupidita`. Poi voleva anche cantare qualcosa sullo stesso tema, ma ormai non lo ascoltava nessuno. Grifone gonfio` le guance, scoppio` a piangere e ammutolì. Gli dissero grazie, gli offrirono un fazzoletto, lo nascosero dietro un libro di scuola e diedero la parola a Ghoul.
Ghoul parlava con un filo di voce, senza alzare il capo, come se leggesse un testo dalla superficie del tavolo, anche se la` non c’era nient’altro che la plastica graffiata. Il ciuffo bianco gli spioveva sull’occhio, lui lo aggiustava con la punta del dito bagnata di saliva. Il dito fissava la ciocca incolore sulla fronte, ma appena la lasciava, quella riscivolava subito sull’occhio. Per guardare a lungo Ghoul, bisognava avere dei nervi d’acciaio. Percio` io non lo guardavo. Gia`così i miei nervi erano ridotti a sbrendoli, non c’era motivo di tormentarli ulteriormente.

Nessun commento:

Posta un commento