domenica 12 giugno 2011

Il club dei filosofi che volevano cambiare il mondo

AUTORE: Laura J. Snyder
GENERE: Romanzo storico

TRAMA:
È il 1820 quando quattro brillanti studenti dell’Università di Cambridge William Whewell, John Herschel, Charles Babbage e Richard Jones scoprono di avere in comune l’amore per la scienza, oltre che per il buon cibo e le grandi bevute. Al primo incontro ne seguono altri, ogni domenica mattina, fino all’istituzione di un vero e proprio Club dei filosofi. Ispirandosi al metodo induttivo del filosofo Francis Bacon, i quattro amici si propongono di capovolgere il concetto di scienza, portandola fuori dai polverosi ambienti accademici per metterla al servizio dell’umanità e delle classi sociali meno agiate. In cinquant’anni di amicizia, scontri, successi e passioni, questi quattro uomini straordinari riescono a portare a compimento una grande rivoluzione, discutendo, confrontandosi, aiutandosi a vicenda nella vita e negli studi. La loro storia è quella di un grande sogno e di una straordinaria amicizia e ci regala il ritratto affascinante di un’epoca di grandi innovazioni destinate a cambiare il mondo.

INCIPIT:
1. Giochi d’acqua
L’anno in cui nacque William Whewell erano in corso il lavori di scavo del canale di Lancaster. Esso partiva da Preston, nel sud, dove il fiume Ribble si gettava nel mare d’Irlanda, dopo Garstang risaliva e un suo braccio raggiungeva di nuovo il mare a Glasson, prima di snodarsi attraverso Lancaster e puntare a nord, a Kendal, al limite del Distretto dei Laghi. Nell’anno 1794, in piena rivoluzione industriale, in Gran Bretagna facevano la parte del leone le manifatture e l’ingegneria, entrambe ben presenti nella grande opera di costruzione del canale. Whewell sarebbe cresciuto circondato dai lavori per la realizzazione della grande via d’acqua, impressionato da questi monumenti allo sconfinato potere dell’inventiva e della tecnologia umana. In seguito sarebbe arrivato a considerarsi un ingegnere della Scienza, intento a progettare la costruzione del suo corpo poderoso, proprio come John Rennie – l’ideatore del canale – aveva tracciato il percorso di una massiccia via d’acqua. Un giorno, questo figlio della rivoluzione industriale avrebbe dato il via a una rivoluzione scientifica che avrebbe trasformato il mondo.
La storia del canale comincia nel 1772, quando alcuni commercianti del luogo si misero insieme con l’idea di costruire una nuova via d’acqua che si sarebbe unita a quelle già esistenti di Leeds e di Liverpool vicino a Wigan, proseguendo verso nord, attraverso Preston e Lancaster, fino a Kendal. I lavori erano proseguiti per svariati decenni, sin dal 1755-61, quando il Sankey, un piccolo affluente nel Lancashire, era stato trasformato in canale per trasportare carbone a basso costo fino a Liverpool; dopodiché era cominciata una stagione di costruzione di canali sostenuta dagli industriali, che volevano mezzi di trasporto economici per portare i loro manufatti dalle fabbriche ai mercati.
In tempi recenti, il porto di Lancaster è diventato uno dei più attivi del- la Gran Bretagna. Anche oggi, molti begli edifici in stile georgiano caratterizzano l’area del porto: furono costruiti all’epoca del suo massimo fulgore, alla metà dell’Ottocento. Ma già nell’ultimo trentennio di quel secolo, l’attività portuale cominciò a soffrire per i sedimenti dell’estuario del Lune, che collegava Lancaster con il mare d’Irlanda, a tre miglia di distanza. Le navi da cargo di nuova generazione, più grandi, non riuscivano a risalire il fiume fino al porto.
Lancaster era un importante centro tessile manifatturiero che produce- va lino, soprattutto tela olona. Le fabbriche erano di proprietà dei cosid- detti flaxmen1, fornitori che si trasformarono in produttori di lino riem- piendo i magazzini di pesanti telai e attrezzature per l’orditura e l’inami- datura. Ma se a Lancaster il trasporto sull’acqua fosse cessato, lo stesso sarebbe accaduto alla produzione di vele. I commercianti di Lancaster guardarono con invidia ai loro concorrenti a Liverpool che prosperavano, soprattutto grazie al canale che collegava la loro città a Leeds.
Gli abitanti di Lancaster si rivolsero dapprima a James Brindley, che aveva progettato il famoso canale di Bridgewater, adibito al trasporto di carbone dalle miniere dell’omonimo duca, che si trovavano a Worsely, fino a Manchester. Primo dei grandi canali, quello di Bridgewater era una meraviglia ingegneristica: le sue diramazioni si addentravano nella minie- ra di Worsely, le chiatte passavano nell’acquedotto sopra il fiume Irwell, alte nel cielo, e l’approdo a Manchester era costituito da un tunnel che portava il carbone proprio nel centro della città. A causa della sua salute malferma, Brindley fu costretto a passare il lavoro per il canale di Lanca- ster al genero, Robert Whitworth. Le discussioni intorno al suo progetto e a quelli dei suoi successori si protrassero per quasi vent’anni.

Felicità®

AUTORE: Will Ferguson
GENERE: Romanzo 

TRAMA:

Il compito di Edwin de Valu, giovane editor in una casa editrice newyorkese, è quello di pubblicare manuali di self help, di metter mano nel "mucchio fangoso" di manoscritti non richiesti e tanto meno desiderati che affluiscono ininterrottamente in tutte le case editrici e di scrivere lettere di cortese rifiuto ai loro autori. Ma capita, talvolta, che un mostruoso dattiloscritto di mille pagine diventi un vero bestseller, prometta di far tutti felici, di curare tutti i mali del mondo, di far scoprire il segreto di una vita sessuale entusiasmante. La cosa strana è che, grazie a quella lettura, il mondo si trasforma davvero in un luogo dannatamente felice. Con il conseguente crollo dei centri fitness, del mercato del tabacco, dell'alcol, della droga...

INCIPIT:
La Grand Avenue taglia esattamente il cuore della città, dalla 71°esima Stada fin giù al porto e, nonostante le sue otto corsie e un viale alberato nel mezzo, ha un aspetto claustrofobico e angusto. Da entrambi i lati svettano imponenti edifici edoardiani, creando con le loro facciate due muraglie ininterrotte. Molti di questi palazzi furono costruiti alla fine degli anni venti, durante il Grande Boom della Potassa, con tutto ciò che ne consegue: un torvo aspetto da capitalismo calvinista e un senso di oppressione e grevità. Edifici senza una risata. Da lassù, dove siedono gli angeli, la Grand Avenue sembre effettivamente bellissima, un'autentica vetrina di dignità architettonica. Dal basso invece, al livello della strada, lo spettacolo è tutto diverso, pietrose corsie caotiche e rumorose, intasate di gas di scarico e tassisti incazzati, farbneticanti accattoni fuori di testa e impiegati frettolosi. Un mondo costantemente immerso nel frastuono, dove il rumore del traffico rimbomba tra gli edifici di uno spaventoso ruggito cacofonico. Qui il rumore è una presenza fissa. Privo di un posto dove andare e di una via di fuga, rimane imprigionato in un'onda stazionaria perpetua, un persistente feedback di ferraglia urbana. Scariche elettrostatiche degli dei.
Se in alto la sensazione dominante è di tipo visivo e in basso, a livello della strada, di tipo uditivo, nelle profondità del metrò a essere saturato, e ad avere la peggio, è l'olfatto. Qui, tra i miasmi degli scappamenti, i veicoli strepitano in un infinito nastro di Moebius di lavoro. sudore, sale e sporchi guadagni. Un circo frenetico dove i cavalii hanno l'enfisema, la vernice si scrosta e il fetore di alitosi e di odori corporali si rincorre in densi mulinelli per l'aria, nell'aria: anzi è l'aria. Corpi che inalano diossido, riciclano scorie,pigiati in fomazioni sudaticce tra la calca dell'ora di punta mattutina. Nella città, lo strato più basso, il livello più infimo, è il fetore.
Edwin Vincent de Valu (alias Ed, alias Eddie, alias Edwynne ai tempi delle letture di poesia nel dormitorio del college) emerge dal sottosuolo all'incrocio tra Faust e Broadview come una tartaruga in fondo a un canyon. Sulla Grand Avenue la pioggia èlurida prima ancora di toccare terra. Una volta a Edwin ne era caduta una goccia isolata sul dorso della mano e si era fermato, stupito da quell'unica stilla d'acqua, già striata di fuliggine.
Edwin è un giovanotto magro, garbato, con un passo lungo da spaventapasseri e capelli stopposi che si rifiutano di tenere la scriminatura. Anche con un soprabito firmato e un paio di scarpe a coda si rondine di Coquette, Edwin de Valu riesce a passare straordinariamente inosservato. Scarsità di consistenza. E’ un peso leggero in tutti i sensi, e il pendolarismo giornaliero quasi lo sommerge. Nel darwinismo urbano dell’ora di punta, Edwin deve lottare anche soltanto per restare a galla, deve mettercela tutta anche soltanto per tenere la testa fuori dal diluvio. Nessuno, men che meno lo stesso Edwin, potrebbe mai sospettare che le sorti del mondo occidentale presto graveranno sulle sue esili spalle.
Sul lato est della Grand Avenue il retrogusto di latte acido e di urina vecchia, così onnipresente da sentirlo sulla lingua, salutò Edwin come un familiare ceffone in faccia. Come un motivo ripetuto fino alla nausea. Una metafora di qualcos’altro. Qualcosa di peggio.

La morte non è una cosa per ragazzine

AUTORE: Alan Bradley
GENERE: Romanzo Giallo

TRAMA:

Torna la terribile detective undicenne Flavia de Luce, con la sua passione pericolosa per la chimica e per la soluzione di omicidi misteriosi. Nella magica atmosfera della campagna inglese degli anni ’50, questa volta Flavia si ritrova alle prese con ben due morti – separate nel tempo ma collegate nel più inverosimile dei modi. L’adorato burattinaio Rupert Porson ha uno sfortunato e fatale appuntamento con la corrente elettrica attraverso le corde che reggono i suoi pupazzi di legno. Ma chi può aver fatto una cosa del genere e perché? Flavia lascia immediatamente perdere i suoi esperimenti chimici e i suoi progetti vendicativi contro le sorelle e, inforcata la fidata bicicletta Gladys, parte dalla avita magione di famiglia decisa a risolvere questi misteri mortali. Che cosa sa la pazza che vive a Gibbet Wood? Che ruolo hanno uno strano pilota tedesco ossessionato dalle sorelle Brönte, una zia zitella acidissima, per non parlare di una scatola di cioccolatini avvelenati? E chi è veramente Nialla, l’affascinante ma bizzarra assistente di Porson? Tutto sembra collegato a una morte sospetta, avvenuta anni prima, e a un caso che la polizia locale non riesce a risolvere. Ma queste sue investigazioni non finiranno per mettere Flavia in un pericolo letale?

INCIPIT:
Giacevo morta al cimitero. Era passata un’ora da quando i miei cari mi avevano dato un ultimo affranto addio.
A mezzogiorno in punto, nel preciso istante in cui normalmente ci saremmo messi a tavola, eravamo aprtiti da Buckshaw: la mia bara in legno di rosa ben lucidato era stata portata fuori dal soggiorno e condotta con grande cautela lungo i gradini di pietra fino al vialetto, per poi scivolare con struggente facilità nel carro funebre che attendeva a porte spalancate, schiacchiando il mazzolino di fiori di campo affettuosamente deposto da una fanciulla del paese.
Avevamo poi percorso il lungo viale di castagni fino al cancello di Mulford, i cui grifoni rampanti distolsero lo sguardo al nostro passaggio, chissà se mossi dalla sofferenza o dall’apatia.
Dogger, il devoto tuttofare di mio padre, camminava a passi lenti accanto al carro funebre, a capo chino, una mano a sfiorare il tetto, come per proteggere i miei resti da qualcosa che soltanto lui vedeva. Al cancello, uno dei sordomuti dell’impresa di pompe funebri lo aveva finalmente convinto, con il linguaggio dei segni, a salire sull’autovettura presa a nolo.
E così mi avevano portata al villaggio di Bishop’s Lacey, passando con tanta pena lungo gli stessi sentieri erbosi e le stesse siepi polverose che avevo percorso in bicicletta tutti i giorni, da viva.
Arrivati all’affollatissimo cimitero della chiesa, mi avevano tirata giù piano dal carro funebre e trasportata a passo di lumaca lungo il sentiero fiancheggiato dai tigli. Mi avevano poi deposta per un attimo sull’erba appena falciata.
era seguita la benedizione al bordo della fossa spalancata, e nella voce del vicario che pronunciava la formula tradizionale c’era una nota di autentica afflizione.
era la prima volta che ascoltavo la liturgia della sepoltura da una posizione tanto vantaggiosa. L’anno prima avevamo partecipato, insieme a nostro padre, al funerale del signor Dean, il vecchio droghiere del villaggio. la sua tomba era proprio a pochi metri dal punto in cui mi trovavo io. si era già assestata, e nell’erba non restava che un leggero avvallamento che spesso si riempiva di pioggia stagnante.
Ophelia, la mia sorella maggiore, diceva che la bara era sprofondata perchè il signor Dean era risorto e non era più lì fisicamente, mentre Daphne, l’altra mia sorella, diceva che era precipitata in una tomba sottostante, il cui inquilino precedente si era ormai disintegrato.
Pensai alla zuppa di ossa che c’era lì sotto: una zuppa in cui stavo per diventare un altro ingrediente.
“Falvia Sabina de Luce, 1939-1950”avrebbero fatto scrivere sulla mia lapide, un oggetto semplice e di gusto, in marmo grigio, senza sfoggio di inutili sentimentalismi.
Peccato. Se fossi vissuta più a lungo, avrei lasciato istruzioni scritte, con la richiesta di un tocco di Wordsworth.
“Una fanciulla di cui nessuno cantava le lodi e che ben pochi amavano.”
E se si fossero rifiutati di mettere quella, avrei indicato una seconda scelta:
“Un cuore sincero cui si fa torto, più facilmente cede allo sconforto.”
Soltanto Feely, che le aveva suonate e cantate al pianoforte, avrebbe riconosciuto questi versi dal Terzo libro delle arie di Thomas Campion, e sarebbe stata troppo rosa dal senso di colpa e dalla pena per dirlo agli altri.

La casa del tempo sospeso

AUTORE: Mariam Petrosjan
GENERE: Romanzo di formazione (fantastico)

TRAMA:

“La Casa”. Così è chiamato l’istituto per disabili dai ragazzi che vi sono internati. Tutti hanno handicap, fisici o psichici, ed è per questo che i loro genitori li hanno portati lì. La Casa è un universo parallelo, un mondo chiuso ma non claustrofobico, con le sue leggi e i suoi codici d’onore,dove gli adulti non hanno quasi accesso, e dove i ragazzi vivono una vita ricchissima di emozioni e avventure: battaglie epiche e prove iniziatiche, viaggi e ricerche, odi distruttivi, amori e amicizie. In confronto a questa profondità e varietà il mondo di fuori, che non a caso chiamano “Esteriorità”, appare come una landa desolata da temere e rifiutare. Qui i ragazzi non hanno nomi: si chiamano Avvoltoio, Nero, Fumatore, Sfinge, e sono divisi in bande – o, meglio, in branchi: i Fagiani, i Ratti, gli Uccelli, i Cani. Tutti hanno abilità straordinarie e segrete, e magiche. E tutti, a diciott’anni, devono decidere se uscire dalla Casa o rimanervi per sempre.

INCIPIT:
Fumatore
Alcuni vantaggi delle calzature sportive
Tutto comincio` dalle scarpe da jogging rosse. Le trovai in fondo alla borsa. Borsa per la custodia degli effetti personali: cos`ı si chiama. Solo che dentro non c’e`nessun effetto personale. Una coppia di asciugamani a nido d’ape, un mazzetto di fazzoletti e biancheria sporca. Uguali per tutti. Tutte le borse, gli asciugamani, i calzini e le mutande sono identici, per non far torto a nessuno.
Le scarpe da jogging le trovai per caso, me n’ero dimenticato da un pezzo. Un vecchio regalo, non mi ricordo piu` di chi, dalla vita prece- dente. Di un bel rosso vivo, impacchettate in carta lucida, con la suola a strisce come un lecca-lecca. Strappai la confezione, accarezzai le stringhe color fuoco e svelto svelto mi cambiai le scarpe. I piedi acquistarono uno strano aspetto. Insolitamente adatto alla deambulazione. M’ero perfino dimenticato che potessero essere così.
Quello stesso giorno, dopo le lezioni, Jiinn mi chiamo` in disparte e disse che non gli piaceva il mio comportamento. Indico` le scarpe da jogging e mi ordino` di togliermele. Non era il caso di chiedere perche ́ dovessi, ma lo chiesi lo stesso.
« Attirano l’attenzione » disse. Per Jiinn la spiegazione era normale. « E con cio` ? » chiesi. « Lascia che l’attirino ». Non rispose. Si aggiusto` il cordino degli occhiali, sorrise e mosse la carrozzella. Ma la sera ricevetti un biglietto. Solo due parole: ‘Discussione scarpe’. E capii che ero fritto.
Radendomi la peluria sulle guance, mi tagliai e ruppi il bicchiere degli spazzolini da denti. Il riflesso che guardava dallo specchio appariva mortalmente spaventato, ma in realta` non avevo quasi paura. Cioe` avevo paura, ovviamente, ma nello stesso tempo non m’importava niente. Non stetti neppure a togliermi le scarpe da jogging.
11L’assemblea si svolse in classe. Scrissero sulla lavagna: ‘Discussione scarpe’. Una pagliacciata e una cosa demenziale, ma non ero in vena di ridere, perche ́ ero stanco di quei giochi, di quegli intelligentoni dei giocatori e anche di quel posto. Ero talmente stanco che avevo quasi disimparato a ridere.
Mi fecero sedere davanti alla lavagna, perche ́ tutti potessero vedere l’oggetto della discussione. A sinistra del tavolo sedeva Jiinn e succhiava la penna. A destra Balena Lunga faceva correre rumorosamente una pallina per i piccoli corridoi di un labirinto di plastica, finche ́ non lo guardarono con disapprovazione.
« Chi vuole dire la sua? » chiese Jiinn.
Molti volevano dire la loro. Quasi tutti. Per cominciare diedero la parola a Grifone. Probabilmente per levarselo di torno il prima possibile.
Si chiarì che chiunque cerchi di attirare l’attenzione e` una persona innamorata di se ́ e cattiva, capace di qualsiasi cosa e che si crede chissa` che, mentre in realta` non e` altro che una nullita`. Una cornacchia in penne di pavone. O qualcosa del genere. Grifone declamo` la favola della cornacchia. Poi la poesia dell’asino finito in un lago e annegato per la sua stessa stupidita`. Poi voleva anche cantare qualcosa sullo stesso tema, ma ormai non lo ascoltava nessuno. Grifone gonfio` le guance, scoppio` a piangere e ammutolì. Gli dissero grazie, gli offrirono un fazzoletto, lo nascosero dietro un libro di scuola e diedero la parola a Ghoul.
Ghoul parlava con un filo di voce, senza alzare il capo, come se leggesse un testo dalla superficie del tavolo, anche se la` non c’era nient’altro che la plastica graffiata. Il ciuffo bianco gli spioveva sull’occhio, lui lo aggiustava con la punta del dito bagnata di saliva. Il dito fissava la ciocca incolore sulla fronte, ma appena la lasciava, quella riscivolava subito sull’occhio. Per guardare a lungo Ghoul, bisognava avere dei nervi d’acciaio. Percio` io non lo guardavo. Gia`così i miei nervi erano ridotti a sbrendoli, non c’era motivo di tormentarli ulteriormente.